Quella mattina in verità non avevo proprio nessuna voglia di lavorare, avrei fatto volentieri a meno di andare a negozio. Piuttosto me ne sarei andato volentieri a zonzo per il centro in compagnia dei miei pensieri senza voler sentire nulla e nessuno. Già da qualche tempo mi ero riproposto di recarmi in una nuova libreria proprio dietro Piazza Santa Maria in Trastevere, ma poi ogni volta capitava che proprio di lunedì, il mio unico giorno di riposo, per un motivo o per un’altro, non trovavo mai un minuto libero per visitarla. Eppure, quella mattina, contrariamente al mio cupo stato d’animo nel cielo splendeva un sole invitante e contro ogni tentazione di cattivo umore, nell’aria aleggiava un clima dolce e primaverile. Era già aprile inoltrato. A peggiorare poi il tutto, come se non fossero già bastati i miei pessimi propositi, da sotto la serranda facevano capolino due fatture commerciali, pensai subito che quel martedì fosse una giornata da dimenticare, neanche era iniziata, ma già sembrava destinata a proseguire nel peggiore dei modi. La settimana prima a negozio era stata una battaglia, un lavoro intenso e faticoso, nonostante il fine settimana non mi sentivo per niente riposato, provenivo da una maratona senza sosta, un servizio dietro l’altro senza un attimo di tregua dal martedì al sabato. Per non parlare poi della nottata, trascorsa sul divano a discapito della mia schiena, come oramai accadeva da oltre un anno, mentre mia moglie dormiva beatamente per cavoli suoi, in quella che un tempo era stata la nostra camera da letto.
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Decisi così di pensare ad altro, non volevo rovinare ulteriormente quella che speravo si tramutasse come per magia in una tranquilla settimana di lavoro. Ma oramai la giornata era partita, ed io non potevo fare nulla per fermarla e trasformarla nella maniera in cui desideravo, quindi, voglioso di farmi un regalo, mi misi l’anima in pace e iniziai così ad essere il solito barbiere accogliente e cordiale di tutti quanti i giorni.
Tagliai i capelli ad un paio di clienti.
Il primo avventore non appena fece il suo ingresso, bofonchiò appena un saluto, sembrava preso da una irrefrenabile bisogno di conversare di calcio, nonostante le partite a cui faceva riferimento fossero terminate la domenica della settimana prima. Bisogna sapere che nel mio mestiere, capita spesso che alcuni clienti trovino abituale chiacchierare di sport trovandosi seduto sulla poltrona del proprio barbiere, come pure spesso accade che ti raccontino barzellette dai risvolti piccanti e maliziosi, quasi come fosse un luogo comune e senza che a nessuno passi minimamente per la mente, che chi ti cura i capelli o ti rada la barba, possa infischiarsene totalmente della Lazio, della Roma, di calci di rigore negati piuttosto che di arbitraggi di parte. Per l’appunto, uno di questi ero proprio io. Francamente il calcio non mi ha mai appassionato, nonostante gli innumerevoli sforzi da parte di mio padre, che sin da ragazzino seguitava a condurmi allo stadio per sostenere la sua squadra del cuore, ma purtroppo per lui, furono tutti tentativi fallimentari e ben presto abortiti nel nulla più totale. Ricordo ogni volta che andavamo per quasi tutta quanta la partita, non facevo altro che chiedergli quando ce ne saremmo tornati a casa, continuando poi a guardare ovunque, forche’ verso il rettangolo di gioco. Quando poi una domenica subito dopo pranzo, preparandosi per andare allo stadio mi lasciò a casa con la mamma, capii per mia fortuna che si era rassegnato una volta per tutte all’idea che potessi entusiasmarmi a quello sport. Ero salvo.
E così, mentre tentavo faticosamente di uscire fuori da una sfumatura abbastanza complicata tra due fitte vertigini, il tizio continuava incessantemente ad agitarsi, gesticolando come un vigile urbano al centro di Piazza Venezia, nel tentativo di volermi far capire le ragioni di un goal negato alla sua squadra, a causa di un fuori gioco inesistente segnalato dall’arbitro, una decisione pare, che ne avrebbe compromesso la corsa al campionato. Ma nonostante gli sforzi e le mie ripetute richieste di non muoversi, non ci fu nulla da fare, così alla fine, purtroppo ai danni della sua immagine, mi resi conto che non ne uscì fuori un buon lavoro, quindi per farlo felice concordai le sue tesi, pensando che sarebbe stato miglio se la svista di quell’arbitro non ci fosse mai stata ... Comunque, terminato il servizio, lui continuando imperterrito a supporre teorie e previsioni catastrofiche, senza neppure guardarsi allo specchio, pagò ed uscì senza neanche salutare, continuando a discutere con un conoscente incontrato casualmente in strada mentre sfortunatamente per lui si trovava a passare per caso davanti al mio salone.
L’altro cliente invece, era un uomo attempato, con una folta criniera di capelli completamente argentei ma forse troppo lunghi rispetto la sua età, legati alla nuca con un nastrino rosso, dal quale sbucava un ridicolo codino.
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Insomma, un personaggio davvero “alternativo”. Sebbene frequentasse il mio salone da anni, non riuscii mai a capire di cosa si fosse occupato nella vita, faceva trasparire soltanto una profonda cultura generale, ma circa la sua sfera privata, lavoro, famiglia, moglie e figli, lo zero più totale. Sapeva glissare certi argomenti con un’abilità da vero equilibrista. Mentre invece ero informatissimo su tutto ciò che mi raccontava del suo girovagare per il mondo sin da giovanissimo. Lunghi ed avventurosi viaggi per il mondo ed in particolare quelli passati in India, dove ogni volta senza ricordarsene, mi ripeteva sempre quanto lo avesse colpito la povertà della gente e in modo particolare la profonda sporcizia dei luoghi. Mi parlava di interminabili maratone fatte in compagnia di suoi vecchi compagni di liceo o delle innumerevoli serate a cavallo degli anni “70/80” trascorse nelle vinerie del centro fino a notte fonda, a ragionare di politica in compagnia dei suoi affezionati amici, a suo dire, affermati pittori o autorevoli scrittori di sinistra, serate che poi inevitabilmente terminavano quasi sempre mezzi sbronzi, ognuno per suo conto, a smorzare i fumi dell’alcol sotto le lenzuola e tra le gambe di qualche bella ragazza dallo stesso loro spirito rivoluzionario.
Quella mattina, dato che eravamo ad un passo dalle elezioni politiche, pensò bene di espormi tutti i suoi dissensi per ciò che aveva sentito dire da alcuni rappresentanti di governo durante una trasmissione televisiva la sera precedente. Nel frattempo entrava un’anziana signora vistosamente affaticata dallo stressante compito di baby setter con due nipotini al seguito, che iniziarono subito a fare le pesti bubboniche. Sei anni il più grande, quattro e mezzo il fratellino più piccolo. Quella mattina avevano voluto portare con loro due fuciletti, quei terribili aggeggi che si illuminano di mille colori, facendo poi uno schiamazzo infernale da disintegrare l’intero sistema nervoso e capace di far perdere la pazienza persino ad un santo. I ripetuti richiami della nonna non sortivano alcun risultato, i bimbi ignari dei rimproveri seguitavano a scorrazzare su e giù per tutto il negozio, combinandone di tutti i colori, avevano deciso che il mio salone fosse un luogo perfetto per consumare la loro scorribanda a colpi di fucile. In tutto questo intanto, l’ex playboy trasteverino, cercava di spiegarmi l’imminente catastrofe che poteva verificarsi alla dannata ipotesi che la destra avesse vinto le elezioni e se fosse risalita al governo. Poi, evidentemente disturbato anche lui dalla gran cagnara, si voltò, e rivolto ai due casinisti in erba disse loro con tono deciso, << Allora? Bambini .. volete stare buoni un momento, perbacco!! >> D’incanto i due fratellini si bloccarono, all’unisono corsero intimoriti tra le gonne della nonna senza aprire più bocca, la signora vistosamente risollevata dal richiamo, fece un complice occhiolino al mio cliente, che serio e sorridente si voltò di nuovo verso la sua immagine riflessa allo specchio, proseguendo come un fiume in piena la sua campagna elettorale.
Terminato il lavoro, il dissidente preoccupatissimo per le sorti della nazione, se ne andò lasciandomi precisi suggerimenti su come comportarmi nell’urna elettorale. Quindi rapate a macchinetta le due pesti, uscii fuori dal salone e in conclusione potei finalmente accendermi una sigaretta, dopo di che me ne andai a pranzo.
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Al rientro della chiusura pomeridiana, ad aspettarmi davanti al negozio c’era una signora con un bambino. La conoscevo bene quella signora, era la moglie di un cliente, un noto avvocato di origini napoletane, dal quale tempo addietro si separò e poi ne divorziò. Portava il bambino a tagliarsi i capelli soltanto durante le fasi di luna crescente, una specie di sua fissazione che credo estendesse anche ad un sacco di altre cose, che a suo modo di credere, la cosa sembrava essere molto vantaggiosa. Il piccolo Edoardo, “Dodi”, come lo chiamava lei, era un bimbo tranquillissimo, la volta prima, mentre gli tagliavo i capelli, si era addirittura addormentato sulla poltrona. Il sogno di ogni barbiere. La signora intanto si accomodò sul divano sfogliando una rivista, io iniziai il mio lavoro e venti minuti dopo era già pronto per uscire.
Poco prima di lasciare il negozio, la signora si volta, e mi dice che sarebbe ripassata subito dopo aver accompagnato il bambino a casa dalla tata, senza batter ciglio risposi che l’avrei aspettata volentieri, pur senza immaginare minimamente il motivo per cui sarebbe dovuta ritornare. E difatti, dopo pochi minuti, la rividi rispuntare dall’angolo della piazza in direzione del salone. Giunta davanti al negozio ma senza entrarvi, garbatamente mi chiede se fossi capace di accorciarle la frangia. La strana richiesta era legata al fatto che la sua parrucchiera non poteva farlo, dato che in quei giorni avrebbe partorito, lasciandola così nel panico per quello che secondo lei era l’unico giorno utile del mese, in cui poteva mettere mani alla sua acconciatura. Seppure non avessi una gran dimestichezza verso le acconciature femminili, le dissi chiaramente che avrei potuto provare a farlo, ma soltanto per una semplice sfoltita, nulla di più. Concorde in tutto a quel punto entrò accomodandosi sulla stessa poltrona dove poco prima era seduto suo figlio. Mi parve così strana la cosa, forse era la prima volta che una persona che non fosse di sesso maschile sedeva sulla mia poltrona di lavoro. Tra l’altro abitualmente non permettevo a nessuno di piazzarcisi seduto, se non per essere usata ovviamente allo scopo che serve. Come immaginavo, le donne in quella circostanza non sono mai accomodanti quanto gli uomini, difatti pur trattandosi di una semplice sfoltita, la signora iniziò a darmi mille istruzioni su come fare quello che tuttavia, anche se per soli uomini, era il mio mestiere. Pertanto, con un filo di ironia, feci il giro della poltrona, offrii gli attrezzi alla signora e le dissi: << Per caso preferisce fare da sola?>> Simpaticamente rispose: << Ok, sto zitta!!>> Non feci neanche in tempo a darle la prima sforbiciata, che suonò il campanello della porta d’ingresso, mi volto e vedo li fuori l’avvocato G; il papà di Edoardo, ex marito della signora. Per un attimo fui preso da un senso di smarrimento, avevo saputo da chiacchiere di quartiere che tra loro non scorreva buon sangue, anzi, sembrava che i loro rapporti fossero limitati unicamente a comunicazioni legali. La signora, scorgendo il marito di riflesso allo specchio, si rannicchiò dietro di me e con un filo di voce mi pregò di non aprire e mandarlo via.
Sempre più convinto, tornai a pensare che, quella mattina anziché aprire il negozio me ne fossi andato a visitare la nuova libreria a Trastevere, non avrei fatto un soldo di danno. A quell’ora sicuramente anziché tentare di uscire incolume da una situazione imbarazzante come quella che si era andata creando, potevo starmene seduto tranquillamente a pranzo a Campo de Fiori o in qualsiasi altro posto fuorché li dove non volevo stare per nessuna ragione al mondo.
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Pensai che potevo fingere di non aver sentito, ma oramai mi ero voltato, non potevo farlo, ci eravamo già guardati, non era possibile indugiare o lasciarlo aspettare ancora sulla porta. Intanto la signora si era rannicchiata sempre più su se stessa come un riccio nel tentativo di non essere vista. L’avvocato suonò di nuovo, a quel punto non avevo altra scelta che aprire, la mamma di Dodi chiuse gli occhi, aspettando il peggio, seppure non io capivo quale potesse essere mai questo peggio, tutto sommato, mi domandavo quale male ci sarebbe stato? Ma quasi certamente la signora voleva soltanto evitare l’imbarazzo d’incontrarlo o dare spiegazioni che non facessero pensare all’ex marito che la signora fosse li appositamente, solo per controllarlo o roba del genere. A quel punto le dissi che non potevo far altro che aprire, ma proprio mentre stavo posando forbici e pettine per dirigermi ad aprire, sentii squillare da fuori il cellulare dell’avvocato, che mi fece segno con la mano di aspettare un attimo allontanandosi così dall’ingresso. Vidi nello sguardo della signora un’espressione di sollievo, alla quale seguì la richiesta di poter andare in bagno, perlomeno fino a che non avessi terminato di servire suo marito. Così si alzò e spari dietro la porta del retro bottega. Terminata la breve telefonata l’avvocato entrò. Fortunatamente non fece alcun cenno al fatto che pochi istanti prima avevo “un cliente” tra le mani. Aveva bisogno di fare solo la barba, il servizio più breve, difatti, pochi minuti dopo era già alla cassa per pagare, ma mentre stava per farlo, mi disse di essere al corrente che nella stessa mattinata sarebbe dovuto passare suo figlio accompagnato dalla mamma per tagliare i capelli. Preso alla sprovvista, con i capelli del figlio ancora a terra, risposi che l’avrei aspettato volentieri, omettendo così la verità, quindi pagò la rasatura e dato che ci si trovava, pensò di pagare anche il servizio del bambino. Gli diedi il resto, lui rimise in tasca il portafogli e stringendomi la mano mi augurò buona giornata, poi finalmente lasciò il negozio ed uscì.
Soltanto dopo che lo vidi allontanarsi in macchina, dissi alla signora che sarebbe potuta uscire allo scoperto. Aveva ancora la mantellina sulle spalle ed la faccia piena di imbarazzo, non finì più di ringraziarmi sperando che avessi capito da quale disagio l’avessi sollevata. A quel punto la rifeci accomodare e terminai così il lavoro interrotto poco prima. Quando fu il momento di pagare, oramai rilassata per lo scampato pericolo, sorridente mi dice che il servizio potevo considerarlo pagato con i soldi che aveva lasciato suo marito poco prima per il figlio, aggiungendo inoltre, che quella cosa gli avrebbe procurato un gusto inimmaginabile. Soddisfatta del mio lavoro, uscì ribadendo che sapeva di non sbagliare facendo riferimento alle sue teorie astrofisiche, ossia che quello era davvero il giorno più vantaggioso per tagliarsi i capelli.
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Ma è proprio vero … il diavolo fa le pentole e non i coperchi. Proprio mentre la signora afferrava la maniglia per uscire, all’unisono da fuori l’avvocato G. faceva per rientrare a riprendersi il giornale dimenticato a negozio. Si guardarono negli occhi entrambi con le mani sulle maniglie opposte, il gelo … lui le chiese con tono sospettoso dove fosse Edoardo dato che non era con lei. Furba la signora senza scomporsi minimamente, rispose di essere passata da me soltanto per pagare il taglio e che poi Edoardo sarebbe passato accompagnato dalla tata. L’avvocato se la bevve, era abbastanza credibile come scusa. Io rimasi come uno stoccafisso, non sapevo cosa dire, l’avvocato mi guardò, e con tono seccato mi dice che siccome il taglio del bambino era stato pagato due volte, da lui e dalla moglie, dovevo restituirgli i soldi sborsati prima. Cosa che feci immediatamente, scusandomi con lui per essermi dimenticato di dirlo alla signora solo perché distratto da una telefonata di mia moglie. Per buona sorte credo bevve anche questa, poi rivolto alla sua ex moglie, le disse che doveva parlarle di una certa questione, quindi la invitò al bar per un caffè. Così, entrambi mi salutarono e si allontanarono insieme verso il bar.
Le donne … l’astrofisica … la vanità … cose dell’altro mondo e che mai capirò.
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