martedì 8 marzo 2011

Racconto. "Giustizia è fatta"


Oramai con l’avvento della bella stagione iniziava a far caldo sul serio, a negozio poi, a causa dei fohn lo si avvertiva ancora di più. Il brusio delle cicale era diventata oramai una consuetudine. Con il bel tempo le abitudini della clientela avevano preso una piega diversa dal solito. Data la nota geriatria del quartiere, sin dall’ora di pranzo non circolava più nessuno fino a pomeriggio inoltrato. Attorno a mezzogiorno poi, il sole girando iniziava a battere come un martello pneumatico dritto sulla vetrina rendendo così l’ambiente simile ad un forno. La settimana prima, un anziano cliente a causa del gran caldo aveva  accusato un malore, sfiorando quasi un collasso. Mio malgrado, non potevo fare nulla per evitare quella complicata situazione. Mentre invece nel marciapiede di fronte, mentre io cominciavo ad boccheggiare dal caldo, i miei dirimpettai godevano dell’ombra dei palazzi circostanti, provavo una rabbia da non potersi raccontare. Così presi la sana decisione  di togliere quei due ridicoli ventilatori che avevo piazzato ai lati opposti del salone, pensando di far installare un bell’impianto di aria condizionata. Avrei così di colpo  risolto ogni problema di calura, garantendo ai miei clienti, e a me stesso, giornate fresche e lontane dalla malaugurata e dannata ipotesi di sentirsi male. Cominciai  una ricerca su internet, ma con  grande sorpresa scoprii che ciò che stavo cercando non era affatto un privilegio troppo economico. Finché non contattai un tale di nome Alberto, che a dispetto di tutti quanti gli altri, vantava prezzi notevolmente più bassi. Mi propose per telefono una macchina ad un costo alquanto economico. Rimanemmo che sarebbe passato a negozio per sottopormi un eventuale preventivo ed in seguito, ad installare il tutto per la settimana successiva. Solo per questo avvertivo già meno caldo.
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Ovviamente non potevo far nulla se non prima avessi informato l’amministratore di condominio, il quale mi rispose con un deludente: << Mi faccia pensare un attimo, le darò una risposta appena mi è possibile nella prossima settimana >> Il che, come risposta non mi  parve troppo  soddisfacente, ma ero abituato a certe burocrazie, quindi non mi stupii  più di tanto. Pertanto richiamai il signor Alberto e lo informai  del contrattempo, pregandolo quindi di soprassedere per qualche altro giorno. Nel frattempo, la settimana d’attesa nel silenzio più tombale, divennero due. A metà della terza richiamai. Dall’altra parte mi rispose una signorina informandomi che l’amministratore era fuori Roma per lavoro, e che non sarebbe rientrato prima di dieci giorni. Contrariato e un po’ seccato, la pregai di sollecitare la mia chiamata non appena lo avesse sentito. Così, richiamai di nuovo l’installatore mettendolo al corrente del nuovo imprevisto, lui per niente stupito, e dopo una breve risata di circostanza mi disse che a quel punto, dato che non sembrava esserci più tanta fretta, si impegnava a svolgere un’altro lavoro presso un cliente che finalmente era riuscito a sbrogliare un’annosa matassa burocratica di carattere condominiale. Inquietato dalla notizia iniziò a sorgermi il dubbio che la cosa potesse essere davvero meno semplice di quanto pensassi. Intanto nel salone avevo ripristinato i due ventilatori, in fin dei conti per quanto potessero essere ridicoli, mi avrebbero garantito perlomeno un certo riciclo d’aria. Il sabato successivo fu una giornata caldissima, quasi tropicale, il tasso di umidità aveva raggiunto il novanta per cento, impossibile da resistere, tra i clienti intanto c’era chi mi suggeriva di fare qualcosa per quello che stava divenendo oramai da qualche anno un vero disagio climatico del tutto insopportabile.
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Quasi senza accorgermene era trascorso quasi un mese dalla visita del tecnico, ma dell’amministratore,  nessuna notizia, tantomeno dalla sua segretaria. Iniziai ad irritarmi, era quasi conclusa la prima settimana di luglio, il caldo iniziava a picchiare fin dalle prime ore del mattino. Per il resto tutto taceva, calma piatta. Poi inaspettatamente la mattina del lunedì successivo, chiama al salone la segretaria dell’amministratore per avvertirmi che il dott. G, era stato ricoverato in ospedale a seguito di una brutta caduta dalla moto e che con molta probabilità si sarebbe dovuto operare. In un attimo persi ogni speranza di vedere realizzato il mio progetto riguardo l’aria condizionata nel negozio. Rimasi senza parole, le uniche che fui capace di pronunciare furono quelle di augurargli una pronta guarigione. Quella stessa mattina, neanche a farlo apposta, mi chiamò il signor Alberto per sapere come si sarebbe dovuto regolare, aggiungendo inoltre che se fossimo andati più in la con i  tempi concordati, il preventivo pattuito sarebbe aumentato di un venti per cento in più, a meno che non avessimo eseguito il tutto entro cinque giorni. A quel punto, calcolando i tempi di degenza del sig, G., l’assemblea di condominio per l’autorizzazione dell’impianto, stabilii facilmente che non sarebbe passato meno di un’altro mese e mezzo, saremmo arrivati a settembre inoltrato, quando oramai, l’aria condizionata ci fosse stata o meno, poco importava a nessuno. Mio malgrado dovetti rinunciare.
Qualche tempo dopo alla riapertura dalle vacanze, venne a farmi visita a negozio l’avvocato M., un  affezionato cliente, tra l’altro  inquilino dello stesso stabile dov’è ubicato il mio salone, il quale con religiosa puntualità ogni venti giorni viene a darsi una pulitina a quel po’ di peluria rimastagli appena sopra le orecchie e sul collo. L’avvocato M., vero patito della montagna, non appena  si accomoda in poltrona inizia come fanno quasi tutti i clienti, a raccontarmi  il susseguirsi delle vicende avute in villeggiatura, cercando poi di spiegarmi  le varie differenze che ci corrono tra uno scalatore o un alpinista, una picchetta lunga ed una corta, sistemi di sicurezza alpino, e così via. Tutte cose per altro a me totalmente indifferenti, ma si sa, pur di assecondare il cliente, io mi metto li buono, buono ad ascoltare tutti, tanto il tutto dura  giusto il tempo di un servizio. E così dicendo, mi informa che è di nuovo in partenza per il prossimo ottobre verso le alture di una montagna dal nome impronunciabile, credo in Nepal. Io lo ascoltavo dando un’aria il più possibile interessata alla questione, ma rimango totalmente di stucco quando di colpo mi dice che nel  gruppo in partenza per l’Asia, ci sarebbe aggiunto il nostro amministratore, che a suo dire sembrava essersi rivelato un vero amante della montagna, una sorpresa questa anche per lui, scoperta per puro caso soltanto ad agosto, proprio durante le sue due settimane di vacanze sulle Dolomiti. Eggià, perche li c’era anche l’amministratore, in dolce compagnia della sua segretaria. Tentando di capire meglio fin dove fossi stato preso per i fondelli, chiesi all’avvocato se per caso avesse notato in lui qualche impedimento nei movimenti, accennandogli così di aver avuto notizia di un incidente che l’aveva costretto ad un ricovero in ospedale e ad un probabile intervento chirurgico. A quel punto l’avvocato in risposta scoppiò a ridere dicendomi
<< Ma quale ospedale, quale incidente, tutte diavolerie messe in giro da chissà quale invidioso, glielo avrei voluto far vedere io il nostro amministratore avvinghiato a quel gran pezzo di figliuola, altro che ospedale, stava benissimo, avesse visto come scendeva filato giù per le piste nere, e come si rincorrevano uno dietro l’altra con  la signorina Elisabetta .... >>
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E così, grazie a quella confidenziale rivelazione, ebbi la prova schiacciante di essere stato imbrogliato, dovendo passare l’intera stagione a boccheggiare non potendo installare quel provvidenziale impianto di aria condizionata, mentre invece, lui era al fresco che se la spassava con la sua segretaria. Per tutto il mese successivo non ebbi più nessuna comunicazione dall’ufficio dell’amministratore, un silenzio cimiteriale, il nulla più totale. Poi un sabato mattina, di buon’ora, eccolo che spunta a negozio munito dalla sua solita faccia di bronzo, veniva a tagliarsi i capelli. Ricordo bene era proprio l’ultimo sabato di settembre, quindi con molta probabilità quel taglio gli era utile per partire diretto al fresco delle temperature asiatiche in compagnia dell’avvocato.
Una volta accomodatosi in poltrona, badando bene di non sfiorare neppure l’argomento lasciato morire nell’aria come nulla fosse due mesi e mezzo prima, mi chiede di dargli una accorciata ai capelli, raccomandandosi di non esagerare dato che, nel luogo dove era diretto faceva molto freddo. Non immaginando minimamente che io sapessi bene per dove, e con chi. Non essendo quella la prima volta che lo servivo, ricordavo bene quanto ci tenesse alla cura della sua chioma, era un clienti fin troppo attento, quasi maniacale, talvolta se qualcosa non lo convinceva, era capace di farmi ritoccare un dettaglio tante volte, fino a che non fosse del tutto persuaso. A differenza di altri clienti, che solitamente mentre li servo leggono il giornale, lui ad esempio non avrebbe mai detto: << Come al solito Luca, faccia lei. >>
Così finalmente do inizio al il mio “lavoro”. Quindi procedo per prima cosa lavandogli la testa, e come al solito, per sua espressa richiesta, mai con un prodotto del salone, bensì con uno suo shampoo particolare, acquistato tassativamente e solo in farmacia, a suo dire miracoloso. Di conseguenza lo avvolgo con una mantellina da taglio intorno al collo, infilo una strisciolina di cotone idrofilo tra la mantellina ed il colletto della camicia, per evitare così che gli si insinuino i capelli tagliuzzati giù per la schiena, ed inizio così in quel certosino cesello artigianale, che lui tanto desidera. A metà dell’opera decido di rompere il ghiaccio, così gli domando se si fosse ristabilito dopo l’incidente avuto in moto, dato che certamente sapeva che ne fossi al corrente, dopo la mia ultima telefonata avuta con la sua segretaria. Senza scomporsi, ne distrarsi un solo istante dai movimenti della mia forbice, mi risponde con tono secco e lapidario << Benone grazie, ma ora mi raccomando, continui, non si distragga. >>   Fu solo a quel punto, proprio dopo quel suo tono così sgarbato e strafottente, che decidesi di mettere in pratica la mia algida vendetta. Bisogna sapere che il signor G., ogni volta a termine del mio servizio, poco prima di alzarsi, come ultimo ritocco, quasi una firma all’opera, desiderava che gli passassi la macchinetta a zero, senza rialzo, per tutta l’attaccatura della fronte, da basetta a basetta, questo per estirpare quei pochi e sparuti capelli spezzati e senza controllo, posti appunto proprio all’attaccatura frontale. Fu a quel punto che afferrai la macchinetta, ci soffiai sopra, volteggiai la rotellina del regolatore fin sullo zero, quindi una volta avviata l’appoggiai proprio al centro della sua fronte. A quel punto, nel piegarmi in avanti allo scopo di veder meglio, simulo di perdere l'equilibrio, come in realtà qualche volta capita pestando qualche ciocca di capelli a terra, e perdendo così inevitabilmente l’equilibrio, gli cado quasi in braccio. Lui per istinto, cercò goffamente di sostenermi, ma non ce ne fu bisogno, con un gesto repentino, mi rimisi subito dritto in piedi. Ma soltanto un istante dopo, entrambi constatammo di riflesso allo specchio, il disastro che la maldestra manovra  “malauguratamente” aveva causato sulla sua bella e fluente chioma.   
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Ebbene, giusto al centro della fronte, gli correva dritta come un’autostrada, fin quasi in cima alla testa, un profondo solco rasato a pelle, lungo circa dieci centimetri e largo quattro. Ciò che accadde fu molto semplice, per quanto disastroso. “Perdendo l’equilibrio”, la mano che reggeva la macchinetta a pieni giri, se ne andò per conto proprio senza controllo, lasciandogli così la testa simile a quella di un pagliaccio da circo, a rendere completa l’opera, mancava soltanto un palla rossa al centro della faccia al posto del naso. Rimase impietrito con un’espressione sbigottita e senza parole. Continuava a guardarsi allo specchio, con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata. In effetti c’era ben poco da dire. A quel punto, per porre rimedio, c’era un’unica soluzione da seguire. L’unica possibile. Tosarlo come una pecora … Non ho mai capito se intuì il gesto volontario, sta di fatto che quel sabato mattina dovetti raparlo al pari di una boccia da biliardo, ma tutto sommato,  per sua fortuna, avendo una testa abbastanza regolare, la boccia non gli stava neppure troppo male. Comunque alla fine,  senza troppo ortodossia, Giustizia era fatta.     
   
    




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