Oramai dopo circa un anno che avevo rilevato il salone di acconciatore per uomo, era giunto il momento di assumere un aiutante. A piccoli passi l’attività stava crescendo e da solo iniziavo ad avere qualche difficoltà. Il che, la cosa avrebbe dovuto rendermi felice. Gli affari crescevano di settimana in settimana, mese dopo mese i risultati di tanti sacrifici iniziavano finalmente a dare i loro frutti. Del resto il mio commercialista era stato chiarissimo, “ Finché puoi, all’inizio tira avanti da solo, non assumere nessuno, fallo soltanto quando ti accorgi di non farcela più fisicamente altrimenti perderai tutti gli sgravi fiscali di cui adesso puoi beneficiare.”. Fu così che presi la decisione di assumere un dipendente. Difatti, da qualche settimana alcuni clienti per la poca costanza di attendere il loro turno se ne andavano con la promessa poi di ripassare, ma il sostanziale rischio era quello che andassero altrove perdendoli così per sempre. L’annuncio che pubblicai diceva: << Barbiere cerca giovane lavorante - volenteroso - massima serietà - zona Balduina. >>
Purtroppo quella settimana l’annuncio non ebbe alcun riscontro, tuttavia non mi scoraggiai, sapevo bene che ci sarebbe voluto più di un avviso. Finché un martedì mattina finalmente chiamò un ragazzo per avere qualche informazione in più, così gli dissi che sarebbe stato meglio vederci di persona, gli diedi l’indirizzo e dopo neppure un’ora puntuale si presentò a negozio. Quando lo vidi non immaginai neppure lontanamente si trattasse della stessa persona con cui avevo parlato poco prima al telefono, in effetti per come era vestito credevo fosse un nuovo cliente. Indossava un abito gessato di sicuro taglio sartoriale color grigio fumo di Londra. Camicia bianca con gemelli, cravatta a tinta unita bordò, in ultimo, calzava un paio di scarpe modello Duilio nere tamburate, le stesse che solitamente vedevo ai piedi dei miei clienti. Che dire, un vero damerino.
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Con garbo si presentò, << Piacere, sono Agostino, il ragazzo dell’annuncio per il posto da barbiere. >> La presenza era ben’augurante. Agostino oltre ad essere elegante, era anche di bell’aspetto, alto più della media, moro, occhi chiari, un viso regolare dalle pronunciate mascelle, non avrà avuto più di trent’anni. Più che un barbiere sembrava piuttosto un indossatore appena sceso da una passerella di moda. Ci accomodammo a negozio dove iniziò a parlarmi dei suoi trascorsi lavorativi. Mi disse che aveva vissuto negli ultimi cinque anni in America, e più precisamente a New York presso una sorella sposata ad un acconciatore americano, e dove lui appunto lavorava, occupandosi da solo di tutto il reparto maschile, ma che in seguito, dato che non gli era stato più rinnovato il permesso di soggiorno, suo malgrado era dovuto rientrare in Italia. Mi raccontò che aveva iniziato a fare questo mestiere da giovanissimo in un negozio del suo quartiere, poi gli si presentò quella che allora credeva essere l’occasione della sua vita, così espatriò nella speranza di trovare fortuna ed una posizione più agiata. Onestamente se avessi potuto scegliere, avrei preferito assumere una persona più semplice, un ragazzo magari più giovane e con minor vita vissuta della sua. Mentre invece lui sembrava tutt’altro forche’ questo. La sua aitante presenza metteva quasi soggezione. Molto spesso si sa, nel nostro mestiere il primo requisito è proprio l’umiltà e la pazienza nel sopportare qualsiasi atteggiamento da parte di certi strani clienti, ed onestamente, dietro quei gemelli ed il gessato fumo di Londra, in Agostino di umiltà temevo ce ne fosse stata davvero ben poca. Così ci accordammo sul salario e decidemmo di comune accordo che avrebbe fatto una prova di dieci giorni sin dal martedì successivo.
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Alle otto in punto della settimana seguente, elegantissimo come la prima volta, Agostino era già davanti al negozio ancora chiuso ad aspettarmi, una volta arrivato, mentre lo salutavo con una stretta di mano, ero pronto a scommettere che chiunque ci avesse visti, ci avrebbe scambiati lui per l’agiato proprietario, ed io per il suo dipendente. Ad ogni buon conto, dopo aver preso un caffè insieme ci avviammo ad aprire il negozio per dare inizio alla nuova avventura. Dal bar al negozio, due locali praticamente dirimpettai, il mio neo lavorante riuscì a farmi almeno cinque domande inerenti il lavoro, tutte cose molto banali, tanto che mi stupii che a pormele fosse una persona già esperta del mestiere, ovvietà come ad esempio, se bisognasse lavare i capelli prima o dopo averli tagliati, o se dopo una rasatura era il caso di spalmare una crema idratante o un dopo barba alcolico. Cose alquanto stupide e di poco conto. Pensai ad un fattore emozionale. Ma intanto mi assalì un sospetto al quale non volevo neppure pensarci. Agostino forse quel lavoro lo aveva soltanto visto fare, fosse stato davvero così, avevo a che fare con un pazzo. Per capire bene avrei dovuto provarlo sul campo, tutto sommato non ci sarebbe voluto molto a scoprirlo. Appena entrammo senza che gli dissi nulla, si tolse la giacca e dopo averla accuratamente posta su una stampella, mi chiese se avrebbe dovuto indossare un camice da lavoro, aggiungendo poi che se fosse stato possibile ne avrebbe fatto volentieri a meno, dato che non era abituato a portarlo. Gli dissi che per la settimana di prova poteva pure farne a meno, ma che se poi sarebbe andato tutto bene, in seguito l’avrebbe dovuto portare. Annuì dicendo che se era proprio necessario avrebbe incaricato una sarta di farsene un paio su misura dello stesso colore dei miei.
La prova del nove per capire se era davvero del mestiere, volevo verificarla subito, ancor prima che potesse arrivare qualche cliente. Ora bisogna sapere che per chi è del mestiere, impugnare correttamente una forbice è la cosa più normale del mondo, ma non tutti sanno che esiste un modo proprio di farlo, preciso, e solo quello. Solitamente per chi non lo sa, afferrando una forbice, per istinto si inforcano gli anelli con il pollice e l’indice, ebbene, barbieri come pure i parrucchieri, gente competente e di mestiere, non cadrebbero mai in un simile errore, ma bensì userebbe il pollice e l’anulare. Inoltre, anche per la forbice da barbiere, come buona parte degli attrezzi di lavoro, esiste un verso preciso per impugnarla, ossia, mentre vengono maneggiate, la vite di unione tra le lame deve essere sempre rivolta verso chi le usa. Rivolte al contrario funzionerebbero lo stesso, ma è comunque tecnicamente sbagliato. Così mentre Agostino era tutto preso a guardarsi attorno e giacché non aveva portato con se nessun attrezzo, gli dissi appunto che avrebbe potuto usare un paio di forbici che io non adoperavo, ma ugualmente efficienti lo stesso, così gliele passai, lui le prese tra le mani e come sospettavo, d’istinto le inforcò nel modo inesatto. A cosa mirava il bell’Agostino? Come poteva immaginare che presto o tardi non me ne sarei accorto? Comunque non gli dissi nulla, feci proseguire la mattinata, arrivarono dei clienti che puntualmente servii, mentre lui con sguardo curioso e attento osservava il mio lavoro, diligentemente poi a fine di ogni taglio, quando io toglievo la mantellina al cliente colma di capelli tagliuzzati, lui velocemente andava nel retro a prendere la scopa e spazzava il pavimento, asciugava poi lo specchio ed il lavandino bagnati dagli schizzi d’acqua, spazzolava le spalle dei clienti serviti mentre pagavano, augurando a tutti il buongiorno poco prima che uscissero. Così trascorse per intero tutta la mattinata, arrivò l’ora di pranzo, gli diedi come stabilito le mance accumulate, ma quando fece per rimettersi la giacca ed uscire a pranzo, lo fermai chiedendogli di dovergli parlare. Agostino capì subito qual’era il motivo della mia richiesta, difatti non mi diede neppure il tempo di aprire bocca, così esordì dicendo: << Le ho detto una bugia e so anche che lo ha capito, mi deve scusare, ma le garantisco sulla cosa che ho di più caro che non c’era nessuna cattiva intenzione, il fatto è che ho soltanto un gran bisogno di lavorare. >>
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Così Agostino con calma mi spiegò per filo e per segno tutto quello che c’era da sapere.
Ovviamente non aveva nessuna sorella in America, come pure non si era mai occupato di nessun reparto di acconciatore maschile a New York. L’unica esperienza con questo mestiere, l’aveva avuta a Re Bibbia, dove era stato rinchiuso per un paio d’anni e dove in seguito su richiesta del suo avvocato presso i servizi sociali carcerari, ottenne la possibilità di poter svolgere un lavoro, fu così che gli fu offerto un posto come aiutante nella barberia dell’istituto di pena circondariale, gestito da un ergastolano che nella vita di uomo libero faceva appunto il barbiere di mestiere. Mentre mi raccontava il tutto, quell’aria da baronetto sprofondò, sostituita da quella più morigerata di un ragazzo semplice, incappato suo malgrado nella rete della giustizia ordinaria a causa di un furto con scasso ai danni di un elegante negozio di abbigliamento per uomo in centro, nei pressi di Piazza di Spagna. Da qui la spiegazione di quegli abiti così tanto costosi ed eleganti. Aggiunse che di quel lavoro, il barbiere, se ne era innamorato, gli piaceva davvero tanto, e che da me o altrove avrebbe fatto di tutto per impararlo come si deve, garantendo inoltre che in futuro se l’avessi assunto non me ne sarei mai pentito. Era sincero. Da quel po’ che avevo potuto vedere, si intuiva che diceva la verità, così presi la decisione di fargli continuare i dieci giorni di prova. Chiaramente rivedemmo il tutto anche nei termini economici concordati prima delle bugie, camice compreso. Ne fu felicissimo. Tutto sommato, il nuovo Agostino era esattamente la persona che stavo cercando, un ragazzo semplice volenteroso di imparare, e di cui adesso sapevo ogni cosa, proprio l’esatto contrario di quello che si era presentato qualche giorno prima.
Così trascorsero i giorni di prova, Agostino si presentò tutte le mattine puntuale come un orologio svizzero, al mattino per lui era come ossequiare una tradizionale religiosa, metteva in ordine tutte quelle le cose rimaste in sospeso il giorno prima, si occupava delle pulizie ordinarie, lustrava gli specchi, asciugava i lavabi, spazzava, lavava il pavimento e puliva a fondo il bagno, dandomi modo così di dedicarmi senza affanni alla cura dei miei clienti, poi quando non aveva altro da fare, si piazzava paziente alle mie spalle ad osservare con scrupolosa attenzione ogni mia mossa. Pian piano, con il passar delle settimane e con il ricavato delle mance e la paga settimanale, si comprò dei pantaloni, qualche camicia e alcune paia di scarpe, tutte cose decisamente più modeste e più appropriate alla sua disponibilità economica, abbandonando così definitivamente gli abiti con cui si era presentato dall’annuncio, che tra l’altro ormai detestava, ricordandogli cose poco pulite e disoneste, frutto di mal’affari che ora non facevano più parte della sua nuova vita. Cominciai a premiarlo iniziando ad introdurlo nel vivo del lavoro, così spesso capitava che gli facessi insaponare qualche barba, fare qualche shampoo, come pure la piega a qualche testa dopo che io avevo tagliati i capelli. In breve imparò e anche molto bene, parecchi clienti iniziavano ad apprezzarlo e ad affezionarsi a lui premiandolo con mance sempre più sostanziose. Oramai aveva imparato a radere ogni tipo di barba, anche le più antipatiche e difficili. Giunse così per Agostino il momento di iscriversi all’accademia di acconciatura, tutti i giorni staccava un’ora prima per essere puntuale ad assistere alle lezioni, così mentre la sera acquisiva teoria, di giorno la metteva in pratica su qualche cliente più permissivo d’altri.
Passò così un anno esatto dal giorno in cui si presentò a negozio come falso barbiere, vestito da signore, difatti soltanto un anno dopo, ci fu per lui un miracolo, grazie alla sua volontà e alla fiducia che io riposi nelle sue promesse, finalmente ci era riuscito. Ora Agostino stava diventando un vero barbiere, seppure vestito un po’ meno da signore.
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