martedì 8 marzo 2011

Racconto "L'autorevole cittadino"



Per mia fortuna, ho sempre ritenuto l’ordine e l’igiene due virtù assolutamente indispensabili, a maggior ragione poi in un salone da barbiere. Due irrinunciabili qualità, in assenza delle quali, ne andrebbe compromessa la reputazione e l’avviamento di qualsiasi attività per giunta poi se abbia a che fare con il pubblico. Ricordo che tanti anni prima di divenire titolare del mio attuale salone, ero stato assunto giovanissimo, come apprendista presso una famosa barberia del centro, precisamente in via dei Serpenti, a pochi passi da via Nazionale, tra il Colosseo ed il Quirinale. Ero stato scelto fra tanti apprendisti per fare poco più del “ragazzo spazzola” una figura allora abbastanza ricorrente nelle botteghe da barbiere di un tempo, ora praticamente sparita del tutto. Mio malgrado, nonostante fossi già capace di radere e tagliare capelli, in un negozio di quel livello non potevo certo dimostrarlo, prima di mettere le mani su un cliente bisognava fare gavetta e anche molta. I clienti erano tutt’altro che accomodanti e alquanto esigenti, non si sarebbero mai fidati di uno sbarbatello poco più che diciottenne. Del resto, il tessuto sociale della nuova clientela era totalmente diverso da quello a cui ero abituato io sino ad allora, avevo ancora troppa poca esperienza, per giunta acquisita in saloni di periferia. Dovevo abituarmi a trattare con un cliché di persone formato perlopiù da alti funzionari della banca d’Italia, noti personaggi dello spettacolo, senza contare poi la quotidiana presenza di autorevoli uomini politici ed affermati parlamentari. Difatti, qualcuno spiritosamente diceva che quel negozio sembrava essere la terza camera dello Stato. Una sorta di transatlantico fuori sede, dove gli avventori  potevano scambiare quattro chiacchiere al sicuro da orecchie indiscrete. Il prestigio di quel salone di bellezza per uomo era noto ovunque e in qualche modo farne parte, mi riempiva d’orgoglioso allora, come ancora adesso.
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La permanenza in quell’ambiente mi forgiò a tal punto da divenirne un operaio rifinito di primo livello, sia dal punto di vista tecnico, come pure in quello dell’etica comportamentale. Ancora oggi gran parte del mio bagaglio professionale è attinto dall’esperienza assorbita tra le mura di quel prestigioso salone. A parte tutto questo, mi rimase sempre in mente un pensiero di quell’anziano principale che ripeteva spesso e volentieri la stessa frase: << Ricordate sempre, un negozio cresce solo quando non ci sono i clienti. >>. Un concetto quello davvero difficile da decifrare, soprattutto perché allora ero alle mie prime armi. All’epoca dovevo per forza capire come fosse possibile un fatto in apparenza così tanto assurdo. Quando lo chiedevo a qualche mio collega mi veniva risposto sempre la stessa cosa: “Domandaglielo” Così un giorno mi feci coraggio e glielo chiesi. Mimmo, era così che si chiamava il principale, ridacchiando sotto i baffi mi fece accomodare accanto a lui, e così iniziò a spiegarmi il perche di quella frase, che a sua volta, gli venne riportata dal suo principale oltre sessant’anni prima. Ebbene la risoluzione era più semplice di quanto pensassi, ossia, secondo quel principio, un negozio andava nutrito e curato proprio come si farebbe nei riguardi di un figlio, e non come molti credono solo con l’incasso di tutti i giorni. Aggiungendo che per quanto possa apparire assurdo, l’incasso era forse l’ultima cosa, prima bisognava  occuparsi di tutto quanto il resto, seppure ovviamente anche quello del guadagno era un elemento da non trascurare. Le sorti di un negozio, diceva, per essere apprezzato e frequentato, bisognava renderlo accogliente, insomma, bisognava curarlo, e in quale momento era possibile farlo se non quando non c’erano clienti? << Quindi >> proseguì, << Come avrai capito, il negozio cresce e ti da molto, soltanto in assenza dei clienti. >>
Ma questo non era l’unica massima del signor Mimmo, spesso ne citava altre, come ad esempio: << Il negozio dà, e la casa toglie. >> oppure << Chi lavora sbaglia, chi non lavora non sbaglia. >>  E via, via molte altre perle di saggezze popolari, a cui forzatamente eravamo tutti tenuti a dare ascolto.
Ma mentre continuava a espormi le ragioni di quel pensiero, una manicure gli si avvicinò e gli disse che era desiderato al telefono per un appuntamento, era la segreteria particolare di colui che all’epoca ricopriva la seconda carica dello stato, il presidente del Senato. Sorridente si alzò e facendomi un’affettuosa scafetta sulla guancia mi disse che il giorno in cui avrei aperto il mio salone,  avrei dovuto far tesoro di quel prezioso consiglio. Da quel giorno tutto mi fu chiaro, aveva davvero ragione lui.
I miei pensieri di colpo furono interrotti dal suono del campanello, difatti un distinto giovanotto in giacca e cravatta era alla porta. Appena aprii, mi mostrò un tesserino dell’arma dei carabinieri, chiedendomi gentilmente se poteva ispezionare il locale. Senza parole, tantomeno senza chiederne le motivazioni, per istinto acconsentii, così lo feci accomodare. Con garbo e discrezione il militare esaminò tutto quello che secondo lui c’era da osservare, anche se sarebbe bastata anche solo uno sguardo, poiché il negozio era tutto li, mi chiese quindi di dare un’occhiata nel retro bottega, come pure nel bagno. A quel punto non capivo più se stavo subendo un controllo amministrativo o qualcosa di più grave vista quella specie di perquisizione, per cui con la sua stessa educazione, ma visibilmente seccato, chiesi cosa stesse accadendo. Scusandosi e rassicurandomi che non stava accadendo nulla, il milite mi informò che stava soltanto osservando delle normali misure di sicurezza, dato che da li a poco avrebbe fatto il suo  arrivo “Il Presidente”.
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Non capivo a chi facesse riferimento. Ma che per imbarazzo non gli chiesi. In effetti tra i miei clienti di presidenti ne venivano più di qualcuno, ma mai nessuno si era mai sognato di farsi addirittura precedere o scortare dai carabinieri, tanto meno a controllare se tutto fosse a posto. A quel punto non c’erano più dubbi, il presidente a cui si faceva riferimento, non poteva essere altri che un importante uomo politico. Magari proprio il più prestigioso e bene o male sapendo chi viveva nei paraggi del negozio, pensai persino al presidente della Repubblica. Finita l’ispezione, il giovanotto comunicò attraverso un piccolo auricolare posto sotto il polsino della giacca che era tutto ok. Poi fece un cenno all’esterno della vetrina con il pollice della mano sinistra all’insù, ed un attimo dopo altri due carabinieri in borghese si piazzarono ai lati dalla porta del salone, nel frattempo in strada due o tre  macchine blu con  lampeggianti accesi, bloccarono la strada al passaggio di entrambe le direzioni, fu solo allora che sbucò la macchina del presidente, si fermò proprio davanti al negozio da dove ne scesero prima tre uomini della scorta, uno dei quali si diresse spedito ad aprire lo sportello posteriore dov’era appunto seduto l’illustre personaggio, mentre altri uomini senza staccare mai lo sguardo in direzione dei tetti degli edifici antistanti, lo proteggevano,  quindi finalmente entrò.
Non mi ero sbagliato, era proprio un uomo istituzionale. E di che istituzione … Quella mattina il destino volle che il mio salone si ricoprisse del grande onore di mettere le mani nella testa del più titolato rappresentante e primo cittadino della Repubblica Italiana. Per un istante mi venne in mente  Mimmo, il mio vecchio principale, lui si che avrebbe saputo riceverla una simile autorità, mi domandai se io sarei stato  in grado di fare altrettanto. Il locale era pulito ed ordinato come sempre, e questo era già qualcosa a mio vantaggio. In un certo senso Mimmo con i suoi consigli era idealmente li presente accanto a me, e questo mi diede un notevole coraggio. Appena entrò in compagnia dei suoi due angeli custodi, mi tese la mano, proprio come tutti coloro che vengono per la prima volta, quindi garbatamente si presentò, pronunciando nome e cognome, la cosa mi parve buffissima, quasi una burla, chi non conosceva il nome del proprio presidente? Del resto riflettendoci sopra, non poteva di certo dire semplicemente “Buongiorno” e rimanere zitto. Del resto quando un signore fa visita per la prima volta nel salone di un barbiere, si presenta, e ti dice il proprio nome, esattamente proprio come fece lui.
***
Così scambiammo due chiacchiere di cerimonia atte a rompere il ghiaccio reverenziale,  in realtà, per essere più precisi, fu solo lui a parlare, era evidente il mio stato emozionale, quindi forse desiderava che stessi a mio agio. In quei pochi minuti parlammo di cose semplici, mi disse che nei giorni precedenti, passando aveva notato la nuova insegna di BARBIERE intuendo così che la nuova gestione, e che ne aveva apprezzato lo stile dal sapore retrò, tanto ché gli ricordava quella del barbiere del suo paese quando era ancora ragazzino. Mi domandò inoltre se ero sposato o se avessi bambini, poi senza che gli dicessi nulla ne dove, si accomodò da solo proprio sulla mia poltrona di lavoro, una delle tre che sfilavano in serie una dopo l’altra. Un intuito pensai, che evidentemente solo i presidenti della Repubblica posseggono. Non appena adagiato, uno dei carabinieri gli passo il telefono che intanto squillava già da un pezzo, conversò per circa cinque minuti, ma benché per educazione mi allontanai, capii  che aveva poco tempo, giusto il lasso di una rasatura, difatti terminata la comunicazione mi chiese solo di raderlo, e fargli un paio di panni caldi,  che sarebbe poi passato in seguito per un taglio di capelli. Avevo raggiunto così un piccolo record, ossia, senza averlo neppure sfiorato, capii che sarebbe stato mio cliente per una seconda volta.
Aveva la barba lunga di un giorno, l’osservai bene prima cercando di capire le varie direzioni del pelo, non potevo permettermi neppure una lieve sgranatura. Di certo non era affatto una barba semplice da radere, appena sotto il mento aveva tre vortici che giravano su loro stessi come mulinelli, certamente difficili da rasare senza correre il rischio di sgranarlo. Gli poggiai un panno di cotone bianco sul petto, quindi gli ricoprii copiosamente il viso di crema al mentolo, presi il pennello dalla vaschetta di acqua bollente ed iniziai così la saponata. Il presidente intanto appariva rilassato con la testa adagiata sul poggiatesta, sembrava un papa, gli occhi socchiusi, sembrava dormisse. Quando poi l’insaponata  fu terminata al punto da sembrare simile ad un’unica grande palla di neve, afferrai il rasoio, lo disinfettai immergendolo nell’apposito barattolo colmo d’alcol etilico, con calma lo aprii ed iniziai a passarlo avanti e indietro sulla coramella, la lunga lingua di cuoio, solo a quel punto con un dito spostai il sapone per un centimetro sotto la basetta destra e ci poggiai sopra la lama affilata. Fu solo allora che il “capo” riaprì appena gli occhi  e mi fece una confidenziale strizzatina d’occhio come a dire “ mi raccomando giovanotto, ricordati bene chi ha sotto i ferri” gli risposi con un sorriso d’intesa. Richiuse gli occhi continuando buono, buono a fare il cliente. Cominciai così a far scorrere  lentamente la lama leggermente reclinata per tutta la guancia fino all’angolo della bocca senza fermarmi. Ripulito il rasoio su un apposito pezzetto di carta, poggiai nuovamente l’affilato arnese sotto il pomo d’Adamo del presidente, e con consumata sicurezza, tirai su dritto tutto di un colpo fin sotto la base del mento. A quel gesto percepii uno dei suoi angeli custodi deglutire nervosamente, mi voltai e abbozzando un sorriso con una strizzatina dell’occhio lo rassicurai. Ma lui serioso non contraccambiò. Finii prima del previsto, passando poi una mano in contropelo, non avvertii neanche l’ombra del gracchio di un pelo, tanto che non fu necessaria una seconda passata. Poi una volta tamburellato il viso con  colpetti veloci delle mani per far assorbire bene la crema dopobarba, solo a quel punto lo destai. Intanto, l’inusuale trambusto fatto in strada poco prima, doveva aver sollevato la curiosità del vicinato, dato che notai qualcuno che iniziava far su e giù per il marciapiede antistante il negozio, allungando il collo nel tentativo di capire chi stessi servendo. Ci fu addirittura qualcuno che azzardò, nel tentativo di entrare, ma fu del tutto inutile, dato che gli uomini piazzati sulla porta, dopo aver mostrato loro il tesserino e date brevi spiegazioni, non facevano oltrepassare nessuno. Il presidente abituato a certe circostanze evidentemente intuì il disagio, cosicché quando feci un gesto rivolto ad un cliente come per dirgli di ripassare più tardi, si rammaricò, dicendomi che il tutto non dipendeva da lui, anzi, che se avesse potuto, avrebbe fatto volentieri a meno di quel protocollo tanto seccante, ma disgraziatamente indispensabile. A termine del servizio gli passai ancora due panni caldi, quindi, lo misi in congedo. Soddisfatto, senza neppure toccarsi il viso, si alzò apparentemente soddisfatto, anche se ero certo che, verosimilmente i suoi pensieri era in tutt’altro luogo forche li a pensare al mio servizio.
***
Una volta  indossato il paltò e messosi  il cappello,  con mia grande sorpresa, si consumò in elogi circa la mia rapidità e la leggerezza della mia mano, << Una vera piuma .. >> disse,  aggiungendo poi << Per altro di pregevolissima maestria >>. Il mio ego era alle stelle, rimasi senza parole a guardare ovunque fuorché la sua faccia, pensai solo di aver fatto una buona cosa  del quale  ne potevo andar fiero. Già mi vedevo in compagnia dei miei colleghi al bar a raccontare il tutto nei minimi particolari, << Ragazzi pago da bere a tutti, da oggi sono il barbiere del presidente della Repubblica …>> Pensai che da quel momento il mio salone poteva dichiararsi un vero salone di prestigio. Ma l’indifferenza dei carabinieri a certi elogi mi faceva intuire che certe cose fossero trite e ritrite. Poi, una volta comunicato all’esterno che sarebbero riusciti nuovamente tutti in strada, si riaccese di nuovo la giostra delle macchine di scorta tutte in fila una davanti all’altra, il blocco della carreggiata, le sirene spiegate e tutto quanto il trambusto di poco prima, quindi ad un cenno di un collega, fugacemente guadagnarono tutti  l’uscita e in un attimo sparirono lasciandomi solo nel negozio.
Ma nell’emozione del tutto, e solo dopo, mi resi conto essermi dimenticato un piccolo e banale dettaglio, erano andati via tutti senza che nessuno mi avesse pagato ... Eppure Mimmo, il mio maestro me lo aveva anche detto,  il danaro è forse l’ultima cosa, ma di certo un elemento da non trascurare …
 Due giorni dopo quell’evento, si presentò a negozio lo stesso carabiniere della volta scorsa, pensai ci risiamo, ora si riaccende il carosello dell’ultima volta, il salone in quel momento era pieno di clienti, servire il presidente in quel momento per me sarebbe stato certamente un problema. Ma lui non entrò neppure, mi allungò una busta con su il fregio della Presidenza della Repubblica, e mi disse << Questo glielo fa avere personalmente il Presidente. Grazie.>> Salutò ed andò via.
All’interno della busta trovai un biglietto di carta rigido di pregevole fattura, dove di lato  in rilievo c’era lo stesso fregio  che appariva  sulla busta, con una dedica scritta di suo pugno e dove si leggeva    “ A Luca con affetto e simpatia … >> e sotto la sua firma. In un attimo rispolverai tutta l’amarezza avuta la volta precedente, pensai così, che quel gesto era infinitamente  più prezioso del mancato danaro, bensì suggellava un attestato di stima e rispetto personale tra me e il mio presidente. Ma rimettendo poi a posto  il cartoncino, mi accorsi che in fondo alla busta c’era  una banconota di cinquanta euro nuova di zecca.
Il mio servizio così era stato onorato.     


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