lunedì 14 marzo 2011

Racconto. "La casualità" "98"




<< Guido Moretti, carabinieri !! vieni fuori. >>
Proprio come era successo a tanti miei amici, sapevo che prima o poi sarebbe accaduto anche a me.
Avevo ancora nelle orecchie le urla di mia madre, quando all’alba i carabinieri  vennero a casa ad arrestarmi: 
<< Guido Moretti, carabinieri, devi venire con noi in caserma, sappiamo che sei lì, apri o sfondiamo la porta >>
Disse il maresciallo, mamma sconvolta si precipitò ad aprire  chiedendo inutilmente ai  militari di cosa mi si accusava, cercando poi di convincerli, che in ogni caso erano in errore, implorando.  
<< Il mio Guido è un bravo ragazzo, non farebbe mai nulla di male a nessuno, lo conoscono tutti qui nel quartiere, aspettate, non me lo portate via vi prego >> 
Ma loro non le risposero, solo il maresciallo compassionevole davanti al pianto di una madre distrutta le disse con accentuato intercalare siciliano.
<< Non si preoccupi signora, non si disperi, se non ha fatto davvero niente, tra due ore lo riavrà a casa, stia tranquilla >>
Ma io conoscevo bene la verità e non mi aspettavo nulla di meno di quello che stava avvenendo, ne su quello che sarebbe accaduto una volta portato via, una sola cosa era  certa, due ore dopo a casa non ci sarei sicuramente ritornato.
Stavo percorrendo da protagonista, le sorti  di un copione letto e riletto  mille volte nelle storie da bar dei miei amici di borgata, era come se ogni volta le avessi vissute in prima persona tanto ne ero coinvolto emotivamente.

Intanto nonostante stesse appena albeggiando, i vicini svegliati dalle grida di mia madre, erano usciti di casa sostando sui pianerottoli della le scala, ed io sotto braccio ai due carabinieri ero ammanettato alla stregua del peggior delinquente. Qualcuno tentava di consolarmi. 
<< Guido stai tranquillo, ci pensiamo noi a tua madre, nun te preoccupà Guì, tra na settimana aristai a casa, te mettemo noi n’avvocato sta bono >>

E mentre i due appuntati a braccetto mi trascinavano fuori di corsa, innervositi per il timore della gente che intanto copiosa faceva capannello tra me  e i militari, riuscii  con fatica a voltarmi, vidi così mia madre seduta sullo sgabello dell’ingresso di casa con l’aria rassegnata e sconfitta, lo stesso sgabello che tante volte fin da ragazzino mi era servito per prenderle dal palchettone la  sua macchina da cucire che spesso usava  quando portava del lavoro a casa o faceva piccoli lavoretti a qualcuno di zona. Indossava la solita vestaglietta a fiori di sempre, consumata dal bucato fatto a mano  e dai fornelli, i capelli bianchi e scomposti sul viso, sembrava un pugile suonato, sul viso le si leggeva un’espressione rassegnata, come di chi sa, che per quanti sforzi avesse fatto non avrebbe  mai potuto vincere quella battaglia, per lei la più cara e dolorosa, cercare di non perdere un figlio.
In una sola volta le avevo tolto dieci anni di vita.
Scendemmo in strada dove c’era una pattuglia ad aspettarci, un carabiniere mi spinse la testa dentro la macchina per farmi salire, quindi a sirena spiegata dopo una brusca sgommata, lasciammo il lotto di case popolari diretti verso la caserma.


Abitavo solo con mia madre, mio padre se ne era andato di casa anni prima quando io avevo solo tre anni. Mamma venne a sapere che nel quartiere di Primavalle c’era la possibilità di  occupare una casa popolare, lei sapeva già da allora che quello non era certo un quartiere adatto per crescerci un figlio da sola, ma pensava che le cose brutte accadessero solo agli altri, lei sarebbe stata capace di darmi una buona formazione, per quanto le fu possibile mi diede un’educazione fin troppo rigida, per giunta da sola, difatti non si volle mai più riaccompagnare con nessuno, diceva che gli uomini erano buoni solo a farla soffrire, e lei non aveva tempo da perdere nella sofferenza che provocano uomini sbagliati, aveva altro a cui pensare lei, un uomo in casa a cui pensare ce l'aveva gia, ero io. Suo malgrado, non aveva tenuto conto del fatto che i grandi sbagli a volte sono frutto delle piccole distrazioni, ed io ero caduto proprio in una di quelle, e con che disastroso risultato. 
In quel  periodo le cose non andavano per il verso giusto, non ce la passavamo troppo bene dato che il lavoro di sarta di mia madre era notevolmente calato, molti  dei suoi clienti iniziavano ad acquistare abiti già belli e confezionati, mamma era sola e iniziava ad avere grossi problemi economici, talvolta non riusciva neppure a pagare il fitto della casa presa quando era ancora sposata, così le cose di colpo precipitarono, rimase sola, e una donna senza un uomo accanto, per giunta con un figlio di tre da tirare su, il le iniziò a pesare.

Giunti in caserma mi trascinarono in una stanzetta di due metri per tre, dove c’erano già seduti: Aldo, Francone, e Paolo, i miei compari di sventura pesti di botte:
<< Sono venuti pure da te? >>
Disse Aldo il più grande dei quattro.
<< Qualcuno li ha avvertiti, come cazzo facevano a sapere che stavamo dentro casa? >>
<< E a me lo domandi? >>  Risposi. 
<< Quando sono scappato per il giardino, prima di scavalcare il muro di cinta, il carabiniere che mi rincorreva mi ha chiamato per cognome, quelli sapevano tutto gia da prima, quanti eravamo e chi eravamo, fidati!! qualcuno deve aver fatto la spia. >>
<< Ma che dici >>
Ribatté Paolo che  tra i tre sembrava il più pesto.
<< Vi dico che non lo sapeva nessuno oltre noi e Giovanna >>
Giovanna era la sorella di Aldo, e fidanzata di Paolo.
<< Lo sapevo che non ci dovevo venire, adesso che gli diciamo quando ci chiederanno come siamo riusciti ad entrare senza forzare ne porte ne finestre, me lo dite voi cosa gli inventiamo? Avevamo le chiavi?… mia sorella ci fa le pulizie a casa di quello…>>
Sbottai sarcasticamente. 
<< Ma che c’entra Giovanna, non è mica stata l’unica a lavorarci lì, in un anno ne hanno cambiate tre, perché devono pensare per forza alla mia ragazza? >>
Disse Paolo alterato. 
<< Vuoi sapere perché?>> 
Rispose Francone che fino ad allora se ne era stato zitto in un angolo. 
<< Il perché è cosi chiaro, le chiavi ce le può aver date soltanto la tua ragazza, chi altri sennò ? >>
Calò il silenzio nell'angusta cameretta di sei metri quadrati, tutti lo guardavamo con preoccupazione per quello ci che stava per dire.
<< Ma davvero non ci arrivate? Allora qui lo scemo sono io che mi sono messo a fare impicci con tre deficienti come voi >>
Francone era noto e temuto nella zona come una testa calda, facile di mano, e come si diceva, per lui “una e’ poco e due so troppe” poteva permettersi un linguaggio offensivo anche con noi. 
<<Beh, ve lo dico io se siete cosi corti di comprendonio da non arrivarci, allora  punto primo, Giovanna  fa la serva in casa del derubato, e quindi aveva le chiavi di casa, punto secondo, è sorella ad un avanzo di galera già condannato più volte per simili reati,  punto terzo, è fidanzata ad un pluripregiudicato, punto quarto, abitiamo tutti e cinque nello stesso lotto delle case popolari, Guido è l’unico a non avere precedenti penali, ma se come dice lui, i carabinieri lo hanno chiamato per cognome, è fottuto pure lui, Vi basta? >>
Aveva fatto un’analisi perfetta, senza il minimo errore, Paolo si portò le mani sulla faccia silenzioso.
Le sue parole pesavano come una condanna già sentenziata, quindi il silenzio, tutti assorti, chi pensava alla famiglia, chi alla madre come me, e chi al nulla.
<< Vedrai Guido, a te non succederà nulla, ti beccherai una condanna minima, beneficerai dalla condizionale  e sarai fuori prima di quanto pensi >> 
Mi disse con aria rassegnata Aldo, il più scafato dei tre.
<< Certo la fedina penale te la sei giocata, ma torni a casa >>

Il giorno dopo fummo divisi, Aldo, Palo, e Francone furono portati via, prelevati da guardie penitenziarie, prima di essere portati via Aldo mi  disse.
<< Te l’avevo detto, per te niente galera >>
Poi con un sorrisetto aggiunse: 
<< Ma sta attento la prossima volta, se ti beccano paghi questa e l’altra >>
Io lo guardai con compassione e ricordando l’ultimo sguardo infranto di mia madre gli risposi 
<< Sai quando mi vedranno più qui dentro? L’anno del poi e il mese del mai, io quando esco da questo inferno mi cerco un lavoro, questi sbagli non li faccio più. >> 
Francone mi fece un tenero sorriso d’assenso e d’amicizia, mentre Paolo a testa bassa neanche mi guardò in faccia.

Subii un processo per direttissima difeso da una giovane avvocato donna, ed ebbi la fortuna di incappare in un attempato giudice dal cuore generoso nei confronti di casi come il mio, il quale capendo la situazione, ma soprattutto intuendo che tutto sommato non ero fatto della stessa pasta dei miei compagni di sventura, mi condanno ad una pena bassissima, ordinando l’immediata scarcerazione rimettendomi subito in libertà, facendomi promettere davanti a mia madre in lacrime che non avrei mai più frequentato gente del genere, e che mi sarei sin dal giorno dopo cercato un onesto lavoro.
Con quella  promessa fatta al giudice, si concluse la più drammatica esperienza della mia di vita, e il più grande dolore che diedi a mia madre.

Passò un anno. Subito dopo quei fatti, trovai un lavoro come panettiere di notte grazie a mia madre, beneficiando dell’aiuto di padre Nello, il parroco della chiesa di Piazza Capecelatro, la paga era buona, e che in buona parte giravo a mia madre felicemente resuscitata. 
Aldo, francone e Paolo erano in galera dovevano scontare ancora  di tre anni  non potendo godere nessuno dei tre del beneficio della condizionale.
Scrissi molte volte a Frantone, tra i tre quello che forse conoscevo meno di tutti  il quale puntualmente mi rispose sempre. Nelle sue lettere dopo tutto emergeva il ragazzone dall’animo buono.


Frequentavo allora una ragazza di Monte Mario, un quartiere non lontano dal mio, Rosalba, moretta carina, non stava mai zitta un attimo, un peperino. Una domenica pomeriggio decisi di portarla al cinema il “Niagara” in via Pietro Maffi proprio nel mio quartiere .
Alla biglietteria mentre facevo la fila Rosalba iniziò a strattonarmi con forza per una manica: 
<< Guido, Guido?..ascolta >> 
Mi voltai e le chiesi: 
<<Cosa c’è >> 
<< La vedi quella lì, quella biondina con i capelli a caschetto?” 
La ressa era tanta, intanto si era fatto il mio turno la signorina della cassa continuava a chiedermi quanti biglietti volessi, sentivo la gente che premeva dietro 
<< Dove?, non vedo nessuna biondina Rosalba >> Risposi seccato 
<< Quella con il pacchetto di pop corn in mano alla tua sinistra con il vestito bianco, dai come non la vedi, è a due metri da te >> 
Intanto pagai i biglietti  e mi tolsi dalla bolgia che iniziava a brontolare, poi guardai meglio, mi prese un colpo, Rosalba stava indicando proprio Giovanna. 
<< Bhè, che c’è che non va in quella biondina? >> Risposi evasivo voltandole le spalle. << Ha fatto qualcosa di male? >>
<< Te lo dico dopo cosa ha fatto quella li, vieni andiamo o ci rubano i posti migliori >>
E così ci allontanammo da Giovanna ed entrammo in sala.
Una volta scelti i posti  che ci sembravano più centrali possibili, finalmente ci sedemmo. Sistemate le cose  e comprati due mostaccioli a quel punto sempre più incuriosito le chiesi.
<< Allora me lo dici  cos’è  che non  andava in quella ragazza? >>
Rosalba si girò verso di me, accavallò le gambe, si sistemò più comoda come se  dovesse  iniziare a raccontarmi un intero romanzo e a bassa voce  con lo stesso tono che userebbe una ragazzina pettegola, iniziò il suo racconto.
<< Innanzitutto per capire bene la faccenda c’e’ una cosa che devi sapere prima. 
Quella tizia conosce una certa Patrizia, una mia amica, ma che grazie a Dio, lei della mia amicizia con Patrizia non sa nulla.
Patrizia all'epoca faceva la commessa in un negozio di scarpe in via del Corso, tempo prima in discoteca conobbe un ragazzo che spesso andava a trovare dove lui abitava, proprio qui a Primavalle, vicino casa di quella tizia. Sai poi come  funzionano certe cose, vai oggi, vai domani, ti presentano amici, si formano simpatie e fu così che Patrizia conobbe quella, ed pian piano iniziarono a frequentarsi.
Un giorno camminando per via del Vantaggio, diretta dalla sarta di mia madre per delle commissioni, raggiunta Piazza del Popolo, da lontano le vidi mentre si stavano salutando, Patrizia a passo lento e testa bassa era diretta verso la metrò, fu allora che la chiamai per salutarla, e così ci mettemmo a chiacchierare un po’, mi sembrava un confusa, quasi provata, così le chiesi cosa le fosse accaduto, e lei iniziò come per sfogo a raccontarmi nei minimi dettagli tutto quello che le aveva confidato la biondina di Primavalle pochi minuti prima. Sembrava  fosse molto arrabbiata, le rivelò difatti di una lite  avuta con la signora dove lavorava a mezzo servizio, una discussione cosi forte per cui la cacciarono, accusandola di aver fatto in loro assenza, e senza  permesso, lunghe telefonate. Ma la furba nel frattempo si era già fatta fare i doppioni delle chiavi di casa dei suoi datori di lavoro, e per non destare sospetti, li fece in una ferramenta di via Famagosta, distante da dove lei viveva, rivelando poi a Patrizia che proprio quel giorno si sarebbe vendicata, consegnando i doppioni a dei suoi amici per farle rubare in casa. Solo allora capii il motivo per cui Patrizia era così scossa, era proprio quello il giorno della sua vendetta,  la volta in cui incontrò Patrizia a Piazza del Popolo, e che lei incontrò me, raccontandomi tutto.
Quella  stessa sera dato che i signori erano assenti per una piccola vacanza avrebbe consegnato i doppioni delle chiavi al fratello, così durante la notte  con altri avanzi di galera come lui, sarebbero andati a  saccheggiarla, ma fece male i suoi conti…>>  


Dire che ero sconvolto era poco, ma lei continuò il suo racconto imperterrita. 
<< Bene sai io cosa feci? >> 
<< Non so dimmi, cercasti di convincere  Patrizia a rintracciarla e dissuaderla>> 
<< No… molto meglio, ascolta cosa feci >>
“Dopo il racconto di Patrizia non ebbi dubbi, avevo elementi a sufficienza per evitare un furto e tentare di garantire i malintenzionati alle patrie galere, salutai la mia amica con una scusa e corsi in caserma da mio padre, tu  forse non sai che mio padre è un maresciallo dei Carabinieri >> 
A questo punto del racconto vi lascio immaginare il mio stato d’animo, mi stava rivelando quello che fino ad allora era stato il mio dubbio irrisolto, chi informò i carabinieri quella maledettissima notte, così cercando di rimanere tranquillo risposi. <<No, non sapevo che tuo padre fosse un carabiniere, non me lo avevi ancora detto, lo so adesso.>>
<< E grazie, ci conosciamo da due settimane, adesso comunque lo sai, insomma per concludere, andai in caserma  da mio padre ricca di tutte quelle informazioni, e per giunta cosi minuziosamente dettagliate gli raccontai per filo e per segno senza trascurare nulla su ciò che avevo saputo, così la sera stessa andarono a casa di Giovanna che a principio nego tutto, poi intimidita da ciò che le sarebbe accaduto se non avesse collaborato crollò, come mi disse poi mio padre, spiattellò ogni cosa: nomi, cognomi, indirizzi degli altri delinquenti,  dove sarebbe avvenuto il colpo, persino gli orari, morale papà quella notte  sbatté tutti in galera pescandoli con le mani nel sacco prima dall’eventuale furto. >>
Intanto nella sala si abbassarono le luci, il film stava iniziando, apparvero il titolo e i nomi degli attori, lei si fece piccola nella poltroncina, si strinse al mio braccio, e con aria da gattina innamorata mi guardò e disse.
 << Allora su, dimmi sei fiera di me? >>
Senza guardarla le risposi.
<< Ma certo, che domande, sei stata davvero brava >> Aggiungendo: 
<< Però, a volte che vuol dire la casualità!!! >>

 








 
  





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