martedì 8 marzo 2011

Racconto. "La folle richiesta"


Abitualmente un barbiere per sua competenza, si sa, taglia capelli, lo fa sugli uomini, come pure sui bambini, normalmente non va oltre. Tuttavia, nel corso di tanti anni di onorato lavoro, può capitare qualche forzata eccezione, come appunto accadde a me dovendomi improvvisare casualmente tosatore. Ricevevo da qualche tempo la visita di un cliente sempre in compagnia dal suo inseparabile cane, uno Yorkshire a pelo lungo di nome Attila, uno di quei cagnetti che solitamente li si vede spesso in braccio ai propri padroni o distesi su qualche divano, i quali a causa del ciuffo che gli cade davanti al muso non gli si vedono mai gli occhi, e ogni volta che mi capitava di incontrarne uno simile in strada, mi domandavo sempre come facessero a vedere. Il signor Alberto, il suo padrone, era un aggraziato signore sulla cinquantina inoltrata, sempre molto soddisfatto del lavoro che io eseguivo con scrupolosa dedizione su una testa notevolmente complessa come la sua. Ad esser sinceri un individuo complesso lo era anche lui, sempre attento ad ogni mio scorrere del pettine, come pure ad ogni sforbiciata quando a suo modo di vedere riteneva ne dessi qualcuna di troppo. Essenzialmente il suo problema erano le  orecchie, notevolmente sporgenti in avanti, insomma, per farla breve, aveva le orecchie a sventola, oltre al fatto che erano smisuratamente lunghe più del dovuto e assai corpulente. Senza nessuna ombra di dubbio quel difettuccio era il suo più grande cruccio estetico.
***
A differenza di quasi tutti gli altri avventori del mio salone, vestiva in modo eccessivamente sobrio e colori fin troppo sgargianti, trovavo bizzarro il fatto che portasse sempre la sciarpa, una diversa a seconda della stagione, ne sfoggiava certe dei colori più chiassosi. Aveva un andamento lento in ogni sua armoniosa movenza. Senza dubbio il fatto che da giovane avesse fatto il ballerino di professione, aveva influenzato il suo modo di porsi, abbastanza diverso da tutti gli altri canoni da me abituato a vedere sino ad allora. Una sera durante il rutilante girotondo tra i canali televisivi, incappai in un vecchio programma rai in bianco e nero, condotto da una giovanissima raffaella Carrà e da Corrado, allorché riconobbi sgambettare tra i ragazzi del corpo di ballo, proprio il signor Alberto. Avrà avuto più o meno vent’anni, si muoveva con un’agilità invidiabile, forse visto oggi la coreografia susciterebbe qualche risata, tutti allineati come soldatini si muovevano con gesti tutti uguali, oggi apparirebbero quasi ridicoli. Indossava una camiciola con le spalline a sbuffo attillata ed un paio di pantaloni a vita bassa a zampa d’elefante, da dove a malapena si scorgevano un paio di stivaletti modello Adriano Celentano, chiari a tacco alto. Uno spasso, seppure nei primi anni settanti era proprio quello il modo di vestirsi anche in strada.
Una mattina molto presto lo ritrovo davanti al salone con Attila come sempre, perennemente in braccio. Fu anomalo per me trovarlo li, anche perché era venuto non più tardi di dieci giorni prima. Pensai ad un ritocco, quindi appena mi avvicinai lo salutai come sempre chiedendogli quale fosse il motivo di quella visita così mattutina. Mi rispose che non appena avessi aperto negozio mi avrebbe spiegato. Difatti, una volta dentro il negozio sciolse l’arcano.
<< Allora signor Luca ora le spiego, giorni fa sono andato come faccio ogni venti giorni nel negozio di toletta per cani dove porto Attila abitualmente oramai da tanto tempo, ma con mia sorpresa nel frattempo era cambiata gestione, ci ho trovato una tipa sgraziata, un’energumena dall’aspetto mascolino, la quale mi dice che per tosare il cane, avrei dovuto prendere un appuntamento, o comunque se volevo, gli avrei dovuto lasciare li Attila, e che in attesa del suo turno l’avrebbe dovuto tenere chiuso in una gabbia comune con altri cani per circa un’oretta. Insomma, pare che non avrei potuto reggerlo in braccio in attesa che toccasse il suo turno per motivi di sicurezza. >>
Non volevo credere a ciò che certamente da li a poco avrebbe avuto il coraggio di chiedermi. E difatti, pressoché implorandomi, mi disse.
<< Caro signor Luca, quello che le sto per chiedere è davvero un grande favore, dato che per certe cose mi fido ciecamente soltanto di lei, tuttavia capisco bene che la mia richiesta sia piuttosto inusuale. Insomma, la taglio corta, lei potrebbe occuparsi di dare una piccola tosatina ad Attila il mio piccolo cagnolino? >>
***
Ero sconcertato, non sapevo cosa rispondere, tosare un cane per giunta nel mio rispettato salone era una cosa lontana dai miei pensieri anni luce, oltre al fatto che qualcuno poi, potesse addirittura trovare il coraggio di chiedermelo, per altro non sapevo neppure fossi in grado di farlo e comunque il problema non si poneva neppure, non mi sarei certamente prestato a quella folle richiesta. Alla sola idea che potesse entrato un cliente beccandomi a tosare un cane proprio nel salone, sarei morto di vergogna. Già mi vedevo, “Aspetti signor prefetto, finisco di sfoltire la frangetta al cane e la servo subito” Così dissi al signor Alberto.
<< Mi auguro che lei stia scherzando signor Alberto, tosare un cane a negozio? Ma non se ne parla neppure, è una cosa contro tutte le regole igieniche, non potrei farlo neanche volendo, mi domando  come le sia passata per la testa una simile follia … >>
Subito dopo aver chiuso bocca, mi accorsi di esserci andato giù pesante, quando poi lo vidi farsi rosso in viso e i suoi occhi di colpo divenire lucidi, volevo morire, a quel punto un feroce senso di colpa mi assalì, quando poi vidi che il luccichio divennero lacrime scendergli sulle guance, e stringere forte al petto Attila, tentando un patetico recupero aggiunsi.
<< Mi spiace Signor Alberto, la prego non faccia così, non volevo offenderla, se fa così mi getta in un imbarazzo terribile. >>
A quel punto alzò lo sguardo e rispose.
<< Vede signor Luca, per me Attila è come un figlio, so che può sembrarle ridicolo, ma io ho soltanto lui, è tutto per me, questo cagnolino è il mio unico affetto. Sapevo bene di chiederle una cosa assurda e con poco senso, ma proprio come farebbe un vero padre, mosso da amore nei suoi confronti, io l’ho fatto lo stesso.>>
Poi, sul fare per andar via aggiunse,
<< La saluto signor Luca, e mi perdoni ancora se senza intenzione l’ho offesa. >>
Non potevo mandarlo via in quello stato, gli volevo proporre qualcosa che lo potesse accontentare ugualmente, così lo raggiunsi e gli dissi.
<< Signor Alberto, ascolti, credo sia possibile accordarci con un giusto compromesso, insomma una  soluzione che la possa accontentare, se mi dice dove abita, io potrei raggiungerla di sera dopo la chiusura del salone e così provare a dare una spuntata ai ciuffi di Attila, cosa ne pensa? >> Per tutta risposta sfoderò un sorriso pari a quello di un bambino la mattina del sei gennaio davanti ai doni  della befana. Accettò subito la proposta.
E così, due giorni dopo, mi ritrovai in casa del signor Alberto, forbici alla mano, nell’inusuale veste di tosatore per cani. L’indirizzo era quello di in un elegante comprensorio immerso nel verde, dove ogni stabile era rivestito da cortina lucida e da grandi balconate. Una bellissima magnolia al centro del cortile, ombreggiava quasi completamente il grande cortile d’accesso dell’edificio. Una volta raggiunto l’attico, appena entrato in casa ebbi l’impressione che più che un’abitazione fosse il proscenio di un teatro di posa. Su ogni finestra, al posto delle consuete tende, scendevano giù fastosi  drappi color rosso pompeiano, raccolti ai lati da massicci pon, pon dorati. Alle pareti erano appese gigantesche foto in bianco e nero anni “70”, protagonista il padrone di casa, nelle più svariate pose di danza, alcune delle quali, lo ritraevano accanto ai più famosi personaggi dello spettacolo dell’epoca. Passando poi per il salone più grande che avessi mai visto prima, illuminato da lampade sparse qua e la, e candele di ogni forma e grandezza ovunque, in fondo ad una parete troneggiava un camino di epoca Vittoriano di marmo bianco alto più di me, dove ai lati di questo, svettavano due divani bianchi in stile Biedermeier, dove al centro era posto un tavolo in legno basso, colmo di libri fotografici, uno dei quali mi colpì per la foto della copertina eccessivamente indicativa i gusti del proprietario, che appunto ritraeva due stalloni dai corpi statuari adagiati sulla sponda di una spiaggia al tramonto, nel verso di abbracciarsi e baciarsi teneramente.
Il lavoro lo svolsi nel bagno padronale della casa, una vera sala da bagno interamente rivestito da mattonelle rosa confetto, intervallate a metà da una greca di sassi di Assisi fin sopra il soffitto. Attila al contrario del nome che portava, per tutto il tempo in cui gli tagliuzzai quegli sparuti ciuffetti di peli dalla coda fin su la collottola, rimase quieto ed immobile con lo sguardo perennemente rivolto al suo padrone in cerca di conforto. Al termine del lavoro ci promettemmo che quella sarebbe stata l’unica volta che mi sarei prestato a certi “compiti”, ribadendo che certi servizi avrei continuato a farli solo ai padroni dei cani e non il contrario, lui sorridendo mi garantì che si sarebbe messo subito in moto alla ricerca di un vero tosatore più loquace di quella che a suo dire gli ricordava un po’ la Martina Navratilova dei cani.
***
Mentre me ne tornavo a casa, dove avrei ritrovato i miei bambini, fui felice di aver fatto quello che alla fine poi decisi di fare, rendere felice una persona sola, ricca soltanto di un paterno affetto verso il suo dolce ed affezionato cagnolino.      
 



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