L’ingegner Adolfo C. non era certo un normale cliente, uno dei tanti che frequentano il mio salone, bensì, per me lui rappresentava, “Il cliente”. Ricordo bene fin dai primi giorni in cui rilevai la barberia di cui ora ne sono titolare, il signor Adolfo, come lui voleva che io lo chiamassi, mi elesse fin da subito suo barbiere di fiducia, subito dopo aver terminato la prima rasatura, rammento che si alzò e mi disse, << Bravo giovanotto!!! Da oggi in poi sarai tu ad occuparti di me.>>. Mi onoravo del fatto che mi desse del tu, mentre per me, lui rimaneva sempre il Signor Adolfo. Nacque così tra noi un’istintiva e reciproca stima sancita negli anni da intere montagne di schiuma da barba e fiumi di brillantina. L’ingegner C., aveva oramai superato da tempo le ottanta primavere, seppure non saprei dire da quanto, così intuendo potesse infastidirlo, non caddi mai nell’errore di chiederglielo. Ciò nonostante, affiorava chiaramente dai suoi lineamenti l’evidente immagine di un uomo affascinante. Ed in gioventù affascinante lo fu davvero. Aveva vissuto un’intensa vita ottenendo più di quello che un uomo potesse sperare di raggiungere. Buona parte del quartiere viveva in confortevoli abitazioni di lusso, frutto del suo laborioso impegno profuso per più di cinquant’anni. La sua professione di ingegnere edile era molto stimata ed apprezzata, spesso era facile sentir manifestare da parte di molti miei clienti, il vanto e il lusso di possedere la propria casa in uno stabile costruito dell’ingegner C.
Fu uno scrupoloso palazzinaro d’altri tempi, quando i fabbricati venivano costruiti con virtuoso ingegno e in modo scrupoloso fin nei minimi dettagli. Sposato da sempre con la stessa donna, la quale le diede per il suo orgoglio di padre, due figlie bellissime. Ma fu anche la causa del suo più grande dolore, quando lo lasciò vedovo solo pochi anni prima. Un giorno mi confessò che da quel giorno qualcosa si spense in lui per sempre. Gli mancavano terribilmente le sue profumate lettere che gli inviava a studio fino a pochi anni prima di morire. Da ciò che mi raccontava, conobbe sua moglie durante un galà di beneficienza in casa di conoscenti comuni, entrambi avevano appena venticinque anni, il fuoco dell’amore li colpì tra le note di una musica jazz di Dave Brubeck, erano i primi anni cinquanta, fu amore a prima vista. Da quel giorno le loro esistenze si legarono senza mai mancare in nulla l’uno nei riguardi dell’altra. Una storia di passione d’altri tempi, fatta di sentimenti intensi, amore dichiarato attraverso fiumi d’inchiostro nelle passionali lettere d’amore che si scrissero per più di mezzo secolo. Era il tempo in cui, quando un uomo chiedeva per sposa una ragazza, l’impegno era per tutta la vita.
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L’ingegner per sua abitudine veniva due tre volte alla settimana, talvolta capitava che fosse di cattivo umore, tuttavia, ogni volta paziente comprendevo, con disinvoltura e tanta pazienza proseguivo il mio lavoro come nulla fosse. Nelle poche volte in cui questo capitava, Chiara la sua badante, senza farsi accorgere, mi rivelava che non aveva chiuso occhio per tutta la notte a causa dei suoi continui dolori alle ginocchia. La malattia da qualche tempo gli impediva di camminare da solo, era un uomo alto più di un metro e novanta del peso di oltre cento chili, qualche anno prima dovette piegarsi all’uso del bastone, oramai da tempo nelle sue uscite si alternavano ad accompagnarlo la sua badante, la stessa che poi abitava fissa in casa sua, e di tanto in tanto da un ragazzetto indiano per dare il cambio a Chiara.
Per il signor Adolfo venire dal barbiere, era un po’ come vivere un evento a cui teneva più di ogni altra cosa. In realtà, quell’impegno era come dar luogo ad uno spazio vitale, un’occasione per sentirsi vivo, un appuntamento con la normalità. Ogni volta che la sua badante lo conduceva a radersi la barba, non appena si accomodava sulla poltrona, la metteva subito in libertà recitandole sempre la perentoria canzone. << Allora Chiara, siamo d’accordo, ci vediamo dopo, senza fretta, fatti un bel giro per negozi in piazza, io e Luca adesso ne avremmo per un bel po’.>> Non era affatto vero, il suo servizio durava al massimo quindici minuti, ma se non c’era nessuno, la tiravo lunga perché sapevo gli faceva piacere. Ma lui non essendo stupido questo lo capiva. Chissà, forse non avercela tra i piedi per lui era come cancellarne l’esistenza e tutto ciò che rappresentava, la sua incettata infermità. Poi quando infine Chiara usciva, mi guardava sorridente e felice come un bambino alle giostre e mi diceva. << Eccoci qua finalmente, liberi, tra uomini, racconta, racconta che si dice? >> Poi con sguardo complice sbottava in una risata. Un giorno mentre aspettava il suo turno gli chiesi se nel frattempo volesse ingannare il tempo leggendo una rivista, allora lui tranquillo con tono calmo e cadenzato da pause lunghissime mi rispose, << No grazie, preferisco dedicare questo tempo,… alla riflessione, sarà decisamente più utile di certe notizie. >> In certe uscite era unico. Pensava. Talvolta mentre lo radevo trovavo grandi difficoltà nel passargli il rasoio da sotto il mento, fin giù alla gola, dato che non riusciva a tenere la testa dritta, l’artrosi cervicale lo stancava molto, a quel punto, lui rendendosene conto, perentorio mi diceva. << Non farti problemi, se la testa sbranca tu guidala con energia e mettila come vuoi che lei stia, ricordati, le teste vanno governate, altrimenti se le lasci fare, sono cavoli tuoi. >> E giù a ridere di nuovo.
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Negli ultimi periodi Chiara mi telefonava al salone per chiedermi se potevo andare a casa per la barba, l’ingegnere stava male e per certe cose lui chiedeva sempre e solo di me. Dopo un lungo periodo di quei servizi a domicilio, per una settimana il telefono non squillò più. Qualche giorno dopo, di mattina ricevo una telefonata a negozio, dall’altra parte una voce di donna diceva di chiamarsi, Paola C., era la figlia del Signor Adolfo, ci misi un secondo netto a capire di cosa si trattasse. L’assenza della solita richiesta da parte della badante, mi aveva messo in guardia sollevando in me un brutto presentimento. La voce proseguì. << Signor Luca, buongiorno, volevo informarla personalmente del decesso di mio padre, so che papà la stimava molto, ci tenevo a ringraziarla di persona per tutto quel che lei ha fatto nei suoi confronti, inoltre dovrei farle avere qualcosa da parte sua, papà prima di andarsene, come per sua abitudine ha scritto molto, così, ha scritta una lettera indirizzata anche a lei, come a tutti coloro a cui era affezionato, vorrei fargliela avere >> Con la voce strozzata dalla commozione non ebbi altre parole che rivolgerle le mie condoglianze. Era morto “il mio cliente” . La lettera mi fu fatta recapitare al salone il giorno dopo da Chiara. Era una busta sigillata con un bollo in cera lacca rossa, con su incise due lettere A.C. le sue iniziali. Nel retro della busta in carta di riso, scritto di suo pugno si leggeva. “ Per il Signor Luca, mio fidato barbiere”. Così con il groppo in gola l’aprii ed iniziai a leggere.
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Caro Luca,
Nel corso di questi anni abbiamo avuto modo di conoscerci, frequentarci con una certa assiduità e intenderci reciprocamente. Per tutto questo, sento persino di poter dire che ci abbia legato una rispettosa e verace amicizia, una di quelle, che raramente possono considerarsi un “tesoro”. Vorrei sapessi che di questo ne sono stato molto fiero … Per mia volontà, quando riceverai questa lettera, sarò già in viaggio per raggiungere finalmente, la cosa che negli ultimi anni di vita mi è mancata di più, la mia adorata moglie, Giulia. Quindi, sappi pure che al tuo vecchio amico, in un certo senso, il tanto temuto trapasso non ha spaventato più di tanto, anzi, affatto. Ti sono ancora grato per la tua infinita pazienza, talvolta so di essere stato intrattabile, ma ci tengo che tu sappia, che ho sempre apprezzato i tuoi discreti silenzi. A principio devo confessarti che non mi sei andato subito a genio, con quell’aria di sottile superiorità, come a voler prendere le distanze dal ruolo della tua categoria, solo poi ho capito non appartenerti, piuttosto, anche tu come me, ne sei sempre stato contrario, chissà, forse oltre ad un barbiere in te vive chissà chi …
Questo è tutto mio fidato barbiere, mio grande amico, grazie alla tua disinteressata gentilezza, hai avuto la capacità di farmi apprezzare il sottile e raro valore dell’amicizia.
Con affettuosa gratitudine
Ing. Adolfo C.
Lessi quelle poche e intense righe più volte, poi la richiusi e la custodii tra le pagine di un libro di Hemingway, il mio autore preferito. Quella mattina con le lacrime agli occhi, decisi di chiudere il salone e andarmene a casa, per me, e per il mio salone, quello era un giorno di lutto, era venuto a mancare, Adolfo, “Il mio, il nostro cliente”
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