martedì 8 marzo 2011

Racconto. "Il barbiere e l'avvocato"



Quel mercoledì mattina era una giornata nuvolosa nonostante fossimo già a marzo inoltrato. Infuriavano vento e pioggia come in un cupo giorno d’autunno. Ed in tutto questo, per il tornaconto di un barbiere non c’era nulla di buono. Avrei dovuto rinunciare all’aspettativa di un buon incasso, per giunta proprio il mercoledì, chissà per quale strana ragione, le barberie sono sempre stati luoghi poco frequentati. 
Intanto, come prevedevo, assieme al cattivo tempo la mattinata scorreva lenta e senza vedere neppure l’ombra di un cliente, neanche per una misera rasatura. Così, cercando di colmare le ore vuote e non girarmi i pollici ad aspettare qualche zazzera da sfoltire, iniziai a fare qualche pulizia. Ripulii  tutti i rasoi dopo averli accuratamente affilati passandoli con cautela sulla lingua di cuoio, lavai e divisi tutti i pettini sul bancone da lavoro in ordine d’uso, per prima i più corti e sottili adatti alle sfumature basse, passando poi a quelli a denti larghi per le acconciature più voluminose. Ricolmai le boccette semi vuote di lozione, quindi sbollai dalla confezione nuova la storica brillantina “Linetti” smistandola sulle varie tolette richiesta dei clienti più virtuosi ed esigenti. In ultimo spazzai scrupolosamente in ogni angolo del salone, anche il più nascosto, quindi spolverai ogni ripiano rimasto impolverato.
Attorno all’una avevo praticamente finito, non c’era da far altro che sedermi e sperare in qualcuno che approfittasse della pausa pranzo per far ordine in testa. Difatti, poco prima dell’orario di chiusura si affacciò finalmente il  primo cliente della giornata.
Si trattava di un nuovo cliente, un signore mai visto prima. Pensai ad un cliente di passaggio, uno di quelli che vedi una sola volta e poi non li rivedi mai più. Una circostanza questa che capita solo in alcuni quartieri della città come questo, dove magari ci si viene una sola volta per un appuntamento in uno studio legale, o per passare una visita specialistica, o semplicemente per deporre in un’udienza in tribunale, tutti luoghi questi, in prossimità del mio salone. Era un uomo dall’aspetto imponente, alto quasi due metri, vestito in modo elegante, in giacca e cravatta e valigetta al seguito. Osservai sull’occhiello della giacca, spiccava la spilla del Rotary Club, un icona per pochi eletti, appartenenti a categorie professionali  di ottima reputazione, generalmente conferito a quelle  persone che esercitano un'attività o una professione altamente stimata, nonché, persone con particolari meriti culturali.  Aveva una zazzera di capelli foltissimi neri come la pece ad eccezione delle tempie, dove iniziavano timidamente a fare capolino qualche capello bianco. Ostentava un prezioso cronografo d’oro, unico vero gioiello consentito ad un uomo, come taluni sostengono. Superate le abituali formalità, lo feci accomodare in poltrona. Appena seduto in modo molto risolutivo e sicuro di sé, iniziò a spiegarmi nei dettagli come avrebbe voluto essere servito. Desiderava un taglio di capelli molto corto ad altezza del dorso del pettine, la sfumatura alta tre, quattro centimetri sopra il colletto della camicia, le basette corte, ma non troppo e ben assottigliate. Desiderava inoltre che dopo il taglio gli facessi una sola passata di shampoo antiforfora, quindi, mi chiese  una lozione, a patto che non fosse ne troppo alcolica, ne troppo profumata. Sapeva il fatto suo. Uno di quei personaggi che in altri contesti più spicci verrebbe chiamato un rompiscatole. 
Pertanto, una volta avvolto da una mantella fresca di bucato, silenzioso iniziai il mio lavoro mentre lui senza mai staccare lo sguardo dalla sua immagine riflessa allo specchio, osservava con attenzione ogni  mio movimento. Certamente era un tipo di poche parole, ed io lo assecondai rimanendo a bocca chiusa.
Ma a metà del mio lavoro interruppe il silenzio e commentò:
<< E’ da molto tempo che fai questo mestiere? >>
<< Praticamente da ragazzino >> risposi, rimanendo colpito dalla curiosa domanda, oltre al fatto che  si rivolse a me dandomi liberamente del tu. Ma sapevo già che in un quartiere come quello, certe libertà potevano capitare, non fosse stato altro per l’avanzata età della clientela, costituita prevalentemente da gente anziana, perlopiù vecchi ufficiali militari in pensione, quindi, seppure in buona fede, pur sempre  abituati a certe distanze gerarchiche. Benché lui, non era certo tra questo genere di persone. 
<< Non hai mai pensato di fare altro? Che so’ ad esempio un lavoro che non ti costringa chiuso dentro quattro mura per tutto quanto il giorno. >> replicò.
Ovviamente lui non poteva immaginare neppure lontanamente, che avevo ripreso a fare il barbiere soltanto da un mese e dopo quasi vent’anni, vestito in giacca e cravatta, proprio come era conciato lui,  equipaggiato della solita valigetta, sempre incollata alle mani come fosse un tatuaggio, sbattendomi poi in lungo e in largo per la città, nell’auspicabile tentativo di vender case da perfetto agente immobiliare quale ero. Ma soprattutto che da circa un ventennio, non avevo più preso tra le mani un paio di forbici, se non in sporadiche circostanze per amici e parenti. Evitai così di dirgli tutto questo, per nulla poteva credere che non fossi più in grado di soddisfarlo. Anzi, risposi flemmatico che non mi era mai passato per la mente fare altro che tagliare capelli e radere barbe, aggiungendo poi, che quel mestiere era sempre stato ciò che avevo sognato di fare fin da ragazzino. Quindi silenzioso proseguii nel mio lavoro.
<< Eppure a mio modo di vedere, talvolta nella vita varrebbe la pena variare le proprie scelte, del resto le stesse che spesso ci vengono imposte da altri, o in qualche modo, da situazioni fuori dal nostro controllo. >>
 La sua ostinata insistenza ora iniziava ad infastidirmi. Sembrava fossi obbligato a dargli ragione per forza, solo perche lui era il cliente ed io colui che per il timore di perderlo come tale, dovessi acconsentire per ogni cosa gli passasse per la mente. Per la verità questa seccante situazione in un certo senso mi era piuttosto familiare, mi sembrava di ricalcare una vecchia storia già vissuta centinaia di volte durante la mia precedente attività di mediatore. Infatti, in passato ogni qual volta che mi capitava di dover andare a discutere l’affidamento di un incarico di vendita, presso lo studio legale incaricato della parte venditrice, non c’era volta in cui non dovessi fare veri e propri salti mortali per arginare i soliti pregiudizi. Tuttavia, capivo bene che la reticenza nei miei riguardi e verso la categoria che rappresentavo, era abbastanza giustificata, non fosse altro per dare un senso alla parcella che il giurista avrebbero poi richiesto. Così, finiva per essere  un continuo sollevare obiezioni per ogni clausola del prestampato, spesso senza alcuna logica, dato che l’argomento della contrattualistica, non era sempre  il campo giuridico che abitualmente trattava l’avvocato di turno incaricato. Così,  il tutto ogni volta si concretizzava con un ribadire il ribadito, o sottoscrivere di pugno ciò che in realtà veniva già citato nel mio contratto, soltanto con una diversa terminologia contrattuale. Come ad esempio la più ricorrente, la clausola inerente l’esclusione da parte della venditrice al pagamento delle provvigioni, che citava esattamente così: “Alla proprietaria andranno € ( X ) al netto di ogni qualsiasi spesa”. Il concetto non lasciava dubbi interpretativi di nessuna sorta, era sufficientemente chiaro che la proprietaria non dovesse pagare nulla, ma tutte le volte per l’avvocato di turno non era così, non andava bene. Bisognava esser più chiari. Quindi, armato di buona pazienza quasi sempre dovevo aggiungere di pugno la solita reiterata pappardella: “ La società X, fa presente sin d’ora la proprietaria non dovrà pagare nessuna commissione in nessun caso a nessun titolo o ragione”. Solo a quel punto, l’avvocato autorizzavano l’assistito a sottoscrivere l’affidamento in esclusiva della casa.
Comunque, per tornare alle sue insistenze, annuii  ma non gli risposi, a quel punto lui forse insoddisfatto del mio mancato commento, rincarò la dose aggiungendo.
<< Non vorrà mica dirmi che neanche su questo è d’accordo? >>   
Riflettei qualche istante prima di aprire bocca, del resto, visti i ruoli che ci dividevano e considerando il tono insistente con il quale mi era stata posta la domanda, era necessaria una risposta, pur facendo bene attenzione che non fosse troppo sgarbata, e al tempo stesso esaustiva, da ciò sarebbe dipeso il rischio di perdere o mantenere un cliente. Non intendevo scalfire la sua suscettibilità.
<< Lei di cosa si occupa? >> Chiesi.
<< Caparbio, rispondere ad una domanda con un’altra domanda, dove l’ha imparato? >>
Commentò sorridendo, aggiungendo poi perplesso, evidentemente perché gli sfuggiva dove volessi andare a parare, ignorando del tutto che certi “giochetti”, come quello di girare le domande per anni erano state per me pane quotidiano.
<< Comunque io sono un avvocato, un avvocato penalista per la precisione. >>
Così  continuai dicendo.
<< In effetti, la sua osservazione mi fa pensare, mi domando quante persone siano davvero pronte a capovolgere le proprie rotte, di certo veri temerari, non saprei chiamarli in un altro modo. Dovessi immaginare qualcuno capace a certe imprese, mi verrebbe in mente proprio una persona come lei, con le sue stesse caratteristiche.>>
Fece un espressione vanitosa, sul viso gli affiorò come per incanto un ghigno colmo di boria. Noncurante proseguii.
<< Per caratteristiche intendo proprio quelle fisiche, immaginerei ad una persona di notevole statura per giunta con una testa fitta di capelli, fronte bassa e spalle larghe, insomma, un po’ come lei. Se permette, vorrei chiederle invece se a lei è mai venuto in mente di capovolgere la sua vita nel tentativo di cambiarne le sue prospettive …? >>
Accennando un sorriso di sufficienza, senza celare una velata smorfia di disappunto, rispose.
<< Obbiettivamente questo è un dettaglio a cui non mi sono mai soffermato a riflettere, la verità è che a me piace fare l’avvocato, si figuri, lo era mio padre, e ancor prima di lui mio nonno, e non mi stupirei se mio figlio facesse altrettanto. Senza alcun dubbio sento di poter dire che la giurisprudenza scorre nelle vene della mia famiglia da intere generazioni. Tuttavia non scarto l’ipotesi che sia impossibile riuscire ad occuparsi d’altro. >>
Assecondai il suo sorriso ed garbatamente gli chiesi.
<<  Tra le tante ipotesi potrebbe esserci anche il mio mestiere, per esempio? >>
Quindi con l’autorevolezza di un professore in cattedra, rispose:
  << Bhè, che significa, c’è una gran bella differenza che divide le due cose, intanto la mia è una professione, per giunta molto complessa, raggiungibile soltanto dopo anni di faticoso studio, teso poi ad ottenere una laurea, requisito indispensabile per sostenere in seguito un complicato esame di stato. Viceversa, il tuo è un mestiere, uno dei tanti, per carità … rispettoso, molto dignitoso, ma pur sempre un mestiere. Senza offesa, ma non credo che per impararlo tu abbia trascorso notti intere sui libri, sbaglio forse? … >>
Con le mie domande avevo di sicuro toccato il suo orgoglio professionale, la sua suscettibilità aveva fatto capolino nel mio delicato tentativo di affiancare i rispettivi lavori, ma non volevo mollare.
<< No di certo, imparare un mestiere non richiede passare notti insonni sui libri, tantomeno una laurea, tuttavia, come in tutti i lavori  se si intende farli nel modo giusto bisogna impegnarsi, intanto rinunciare a tutto quanto il resto, trascorrere poi tanto tempo nelle botteghe ad osservare maestri capaci, ed infine, dopo un lungo apprendistato frequentare vari corsi accademici, sostenere esami teorici e pratici per acquisire infine una “ qualifica professionale” riconosciuta solo dalla Regione, in ultimo, finalmente avere il coraggio e la forza economica di aprire il proprio salone ed iniziare a svolgere la “professione”. Cioè, proprio quello che sto facendo ora con lei.  Insomma come avrà capito, anche un mestiere come questo, uno dei tanti, non richiederà certo nottate di studio, ma non di meno, una grande attenzione ed un infinito spirito di sacrificio. >>
Per tutto il tempo, l’avvocato rimase attento ad ascoltare ogni mia parola, frattanto si era anche tolto dalla faccia quella smorfia di sufficienza, sostituendola con quella di una persona comprensiva e concorde con tutto ciò che gli avevo illustravo. 
<< Bhè allora a questo punto mettiamola così, diciamo pure che siamo entrambi due bravi professionisti nello svolgere le nostre rispettive professioni, che ne pensa, è d’accordo? >>
Intanto avevo quasi ultimato il mio lavoro, e lui intanto era passato dall’arbitrario tu, al riguardoso  lei. 
<< Avvocato,  servito !! … >> dissi, sfoggiando un loquace sorriso, aggiungendo poi.
<<Certo, come potrei non essere d’accordo, tra persone comprensive si parla una sola lingua.>>
Pagò il servizio e ritirò il resto, così gli chiesi  se fosse rimasto soddisfatto del taglio, si passò una mano tra i capelli buttando lo sguardo allo specchio, quindi con tono loquace rispose, 
<<Ma certo che si, del resto mi è bastato poco per rendermi conto della sua competenza, l’ho intuito subito da come si destreggiava con pettine e forbice alla mano, è così chiaro che lei nella vita non abbia fatto altro, se lo lasci dire, io me ne intendo, certi intuiti fanno parte del mio mestiere, lei non potrebbe fare che il barbiere, ma sopratutto complimenti per la rapidità, solitamente a me secca sprecare inutilmente troppo tempo, davvero apprezzabile. Un consiglio … dimentichi tutto quello che le ho detto a riguardo dell’ipotesi di provare a far altro, vista la penuria di bravi artigiani, sarebbe davvero una sciocchezza perdere un bravo barbiere come lei, un errore imperdonabile …>> Ci salutammo cordialmente, in fretta si rimise il paltò ed uscì.
Da allora, non lo rividi mai più.




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