mercoledì 30 marzo 2011

Racconto " Domenica liberatoria" di Luca Pinna




Domenica liberatoria

Domenica mattina, ore undici e trenta. Il sole dalle tapparelle mi acceca e la testa  mi gira come fosse una giostra . Un uomo mi dorme accanto, ed io  accanto a lui completamente nuda. Non ricordo nulla, Il vino di ieri sera ha fatto il suo corso, e lui sicuramente poi tutto il resto. Fabrizio? o forse Maurizio, cazzo non mi ricordo nulla, ha ragione mia madre, sono un’incosciente, porto la gente a casa senza neanche sapere chi sia. Ecco ecco, ora ci sono, Maurizio, quel tipo che ieri mi è rimasto appiccicato per tutta la serata. Dio che imbarazzo, e adesso quando si sveglia cosa gli dico?  Magari con aria disinvolta potrei chiedergli. << Ciao, ti faccio un caffè? >> No no no , così  passerei per  una cretina, una abituata a certe situazioni. Cosa sarà successo stanotte? Ma che domande idiote mi pongo, la sera prima mi ubriaco, il giorno dopo mi risveglio a letto nuda accanto ad un uomo nudo, cosa sarà accaduto, di certo non avrò fatto le parole incrociate. La stanza sembra un campo di battaglia, i miei e i suoi vestiti sono sparsi dappertutto, lui dorme ancora profondamente, sembra un bambino. Quando si sveglierà sono certa che non crederà mai alla mia buona fede, e che certe cose non le faccio per abitudine, ma si, chi se ne frega, ora l’unica cosa che vorrei più di ogni altra, è che non ci fosse, ma come faccio, potrei svegliarlo e chiedergli di andarsene di fretta con la scusa che sta arrivando mia madre, troppo banale, la realtà è che sicuramente abbiamo fatto sesso, del resto a 34 anni ci sta, sono una donna libera ed indipendente, certe cose possono capitare. Oddio siamo alle solite, maledetti sensi di colpa, ma è mai possibile che debba sentirmi perennemente in difetto per tutto ciò che faccio? Dice bene quella pazza di Beatrice, “Ti fai troppe pippe mentali, lasciati andare, divertiti …” Giusto!! Ha ragione lei, debbo liberarmi una volta per tutte di questa zavorra mentale che  limita tutte le mie emozioni, andando avanti così diventerò una zitella acida. Vedo riflessa allo specchio di fronte al letto l’insolita immagine di me accanto ad un uomo nudo, lo stesso che con ogni probabilità una manciata di ore fa mi ha posseduta, perché dovrei rifiutarla? Respingerla significherebbe rigettare l’idea di sentirmi come tutti gli altri. Debbo smetterla di far decidere tutto alla mia parte conscia. L’idea che abbia ceduto ad un uomo solo attraverso un bicchiere di vino mi fa incazzare, dovrei essere fiera d’essere qui, nuda con un maschio accanto e tutto il resto, qualsiasi cosa sia accaduta. Si, ho deciso, appena si sveglia gli chiederò nella maniera più disinvolta possibile se vuole un caffè. Non c’è nulla di male, eppoi seppure lo pensasse, poco mi interessa. Certo che è davvero un bellissimo ragazzo, magari stanotte avrà dato il meglio di se, peccato che io non ricordi nulla. Ma la domenica è lunga, siamo appena a fine mattinata …. Fuori c’è il sole, io sono serena, lui è accanto a me, ma soprattutto, mia madre vive così talmente lontano da non avere nessuna necessità di venire a trovarmi di domenica mattina, una domenica  che ho deciso riserverò per colmare emozioni per troppo tempo represse.    
     

martedì 29 marzo 2011

Drinn... / Clik... di Luca Pinna


      Drinnn …

<< Ciao, sei sparita, ma che fine hai fatto? >>
<< Nessuna fine, anzi, ho appena iniziato. >>
<< Iniziato a fare cosa? >>
<< A vivere. >>
<< Avevi forse smesso di farlo? >>
<< Purtroppo accanto a te si. >>
<< Ma io non ti ho fatto nulla. >>
<< Appunto. Lo so, è strano, ma è così, avrei preferito scegliere un momento diverso per dirtelo, ma non ho trovato il coraggio di farlo.>>
<< E credi che fuggire ti faccia star meglio? Faccia star meglio me? >>
<< Mi spiace, ma non so dirtelo, certamente non mi farà più soffrire >>
<< Ma tu fai sempre così con le persone? Prendi e getti? >>
<< No, solo quando c’è di mezzo il mio cuore che rischia di finire in pezzi. E questo non me lo posso permettere.>>
<< Dimmi, ma quando pensi al tuo di cuore, ti viene mai in mente il cuore degli altri? >>
<< Smettila!! Non è giusto che tu mi dica questo, conosci bene la mia fragilità,  non sono forte quanto te, la mia è così leggera che precipita con un solo alito di vento. >>
<< E di tutte le cose che mi hai detto fino ad oggi cosa dovrei farne? Me lo sai dire? Dovrei forse buttarle in un secchio della spazzatura? >>
<< Dimenticale, come se non le avessi mai pronunciate. >>
<< Brava !! Sai calpestare i sentimenti e il cuore delle persone con una semplicità davvero impressionante. Mi fai paura. Ti lascio con un suggerimento, cresci … Vedrai, dopo saprai tenere stretti  i momenti magici che raramente capita di incontrare. >>

  Clik …


  

Racconto "Fido" di Luca Pinna



Fido





La prima volta che io e Fido ci incontrammo, sembrava come se qualcuno dall’alto avesse decretato che le nostre strade si dovessero congiungere. In qualche modo questo “qualcuno” aveva deciso che i nostri destini dovessero proseguire per il resto della nostra esistenza, uno accanto all’altro, fin quando poi uno dei due non avesse mollato.
Si trattò comunque di vero amore fin da principio. Il fatale incontro accadde una domenica notte quando, annoiato, stavo rientrando in macchina dopo aver trascorso un monotono week end in Toscana a casa di mia sorella. Fuori pioveva nonostante fossimo oramai a Giugno inoltrato, si trattava di uno di quei tipici acquazzoni che precedono l’avvento dell’estate, dove l’afa e la pioggia scendono giù con violenza e ad intermittenza senza nessun preavviso. Faceva caldo, guidavo a rilento su una stradina battuta, stretta e sconnessa, una specie di mulattiera, che dalla strada principale conduceva ne vari casolari e vigneti di campagna antistanti.
Ma superato l’ennesimo dosso, di colpo dovetti inchiodare la macchina alla vista di una palla bianca con un puntino nero al centro, immobile in mezzo alla carreggiata. Non mi ero sbagliato, così avvicinando la testa al parabrezza, potei vedere meglio che quella che credevo qualcosa di molto simile ad una busta o giù di li, non era altri che un piccolo cucciolo di maremmano seduto sulle zampette posteriori, sotto un diluvio torrenziale. Tremava come una foglia al vento d’autunno, così per istinto alzai gli abbaglianti, ma non appena il piccolo fu colpito dal bagliore dei fari, per istinto abbasso il muso e alzò una zampina a coprirsi gli occhi. Scesi di corsa dalla macchina, mi accostai a lui, che intanto senza alcun timore non si mosse neppure di un millimetro, mi guardava fisso con gli occhi socchiusi infastiditi dalla pioggia, non appena mi accovacciai ad un passo da lui, venne di corsa ad ripararsi tra le mie gambe. Si era fidato di me. A quel punto non potevo far altro che raccoglierlo e  condurlo con me in macchina.  
Non appena lo adagiai sul sedile accanto alla posto di guida, si raggomitolò su se stesso come una biscia dandomi l’impressione che volesse dormire stremato dalla fatica. Come poi di fatto fece nel giro di pochi minuti. Durante tutto il tragitto fino a casa non si mosse minimamente, di tanto in tanto buttavo l’occhio per controllarlo, ma lui continuò a dormire imperturbato.
Tutto questo capitò in un momento della mia vita alquanto incolore, emozioni zero, quindi, ero pronto a qualsiasi novità, a patto che portasse con se una ventata di novità. Ma a tutto  potevo pensare, tranne che adottare un cane. Ne' ci avevo mai pensato prima, tantomeno avevo voglia di costringere la vita ad un impegno come quello. A giudicare dalle ammissioni dei miei amici che già possedevano un animale, mettersi una bestiola in casa sembrava essere una responsabilità pari a quella nei riguardi di un figlio, stessi obblighi, eguali sacrifici. In breve poi avrebbe modificato ogni assetto della mia vita, vacanze, week end, capodanni all’estero, relazioni sentimentali, senza pensare poi alla spesa che avrei dovuto sostenere allevando un’animale. Tutte cose lontanissime dai miei pensieri.       
Ovviamente, ne il giorno seguente, come neppure nelle settimane successive, riuscii a liberarmi di lui, ero bloccato dal rimorso che se l’avessi fatto, in quella prima fase il cucciolo non avrebbe potuto farcela senza di me. Soltanto dopo capii il vero motivo del mio comportamento. Inevitabilmente con mia grande sorpresa iniziammo così a conoscerci e a diventare persino amici, una di quelle amicizie autentiche, saldate da reciproco rispetto. Iniziai a chiamarlo con il primo nome che mi passò per la testa, Fido, forse il più banale e scontato da attribuire ad un cane, ma soltanto in seguito mi venne in mente che quel nomignolo aveva a che fare con il sentimento che ci legò fin da principio, la fiducia reciproca di uno nei riguardi dell’altro. Come per istinto entrambi conoscevamo il ruolo che il destino ci aveva assegnato. Giorno dopo giorno Fido dimostrava sempre più affezione nei miei riguardi e una sconfinata fiducia attraverso mille suoi modi di fare. Si era votato a me in maniera incondizionata qualsiasi cosa io facessi, per lui era sempre quella giusta, e  l’avrebbe seguita ad ogni costo.
Fu così che iniziò la lunga storia tra me e quella dolcissima bestiola. Senza alcuna fatica ne sacrificio, proseguimmo a convivere e rispettarci a vicenda. A causa sua le vacanze non mi furono mai di peso, come pure i fine settimana, Fido godeva di un carattere dallo spiccato senso indipendente, forse anche grazie al tipo di razza a cui apparteneva, i maremmani si sa, sono cani liberi e libertari per natura propria, una razza orgogliosa e umile al tempo stesso, era capace di rimanere solo anche per due giorni di fila senza mai farmelo pesare. Quando mi capitava di assentarmi gli lasciavo la tapparella della cucina leggermente alzata, quanto bastava per permettergli di gironzolare libero in giardino e fare i suoi bisogni. Poi ad ogni mio rientro, scodinzolando felice mi faceva quel po’ di feste, ma senza mai troppi eccessi, sapeva contenersi. Aveva dignità da vendere, in tanti anni ad esempio, non si sognò mai di correre a prendere un sasso o un bastoncino lanciato lontano. A differenza di molti altri cagnolini che non facevano altro per un pomeriggio intero sotto il suo sguardo indifferente.  
Da quella domenica sera piovigginosa dove io e Fido fatalmente ci incontrammo per la prima volta, trascorsero molti anni, e così inesorabile venne anche quel maledetto giorno di cui non avrei mai voluto sentir parlare ne che giungesse. Già da qualche mese Fido aveva perduto quasi del tutto l’uso della vista, le sue zampe posteriori l’avevano pian piano abbandonato costringendolo a trascinarsi. Nell’ultima visita, il veterinario a malincuore  mi fece capire che se volevo davvero bene a quella bestiola, l’unica cosa da fare era sopprimerlo, tanto più che non avrebbe vissuto più che un’altra manciata di settimane.   
Me ne ritornai a casa con Fido in braccio proprio nello steso modo in cui  ce lo condussi la prima volta. Il giorno seguente decisi che ci saremmo lasciati per amore di entrambi, forse la scelta più amara della mia vita. Avrei dovuto fare a meno di quell’amicizia così forte e inossidabile, unica soltanto tra un uomo ed una bestia. Mi sarei dovuto privare di quegli sguardi sinceri senza doppiezza, quelle solennità ad ogni mio rientro che gli sgorgavano dal cuore. Trascorremmo così una notte quasi del tutto insonne uno accanto all’altro, posai una coperta a terra accanto alla sua cuccia in modo che potesse sentirmi il più vicino possibile a lui.  Gli strinsi una zampa tra le mani, e così provammo ad addormentarci.
Il mattino seguente durante tutto il tragitto che portava da casa fino al veterinario, piansi tutte mie le lacrime. Così una volta giunti, il dottore con scrupoloso tatto mi chiese se volevo rimanere accanto a Fido oppure andarmene subito dopo aver firmato qualche carta. Aggiungendo che il tutto sarebbe durato solo pochi minuti, l’avrebbe prima sedato, quindi una volta addormentato l’avrebbe soppresso. E comunque Fido non si sarebbe accorto di nulla, questo fu ciò che tentò di garantirmi. Ma non si privò di aggiungere che se gli fossi rimasto vicino sino all’ultimo, di certo il suo trapasso sarebbe avvenuto in modo molto meno traumatico.
Quelle parole sollevarono e rinnovarono in me quel senso di estrema gratitudine nei confronti del mio cagnolino a cui  non potevo di certo mancare.
Fido non smetteva di guardarmi, ed io vigliaccamente cercavo di non incrociare il suo sguardo, convincendomi ostinatamente che stavo facendo la cosa più giusta per lui. Far cessare le sue sofferenze, mantenendo così intatta la sua dignità.
Socchiuse gli occhi dolcemente, mentre reggevo la sua zampa. Dopo pochi minuti il medico mi disse.
<< E’ andata, ora se vuole può uscire, non serve che  assista a tutto il resto. >>
Ma un istante prima di andarmene mi richiamò e aggiunse.
<< E’ stato un cane fortunato, ha avuto un’esistenza felice, lo si vedeva, complimenti, dovrebbero prendere tutti esempio da lei.>>
Feci un gesto del capo come per ringraziarlo ed uscii. Avverti una solitudine straziante.
Un istante prima di sparire definitivamente da quel luogo, passando per la sala d’attesa, una signora che evidentemente intuii cosa fosse successo, mi venne incontro e mi disse.
<< Mi spiace, so bene cosa sta provando in questo momento, posso darle un consiglio? Rimpiazzi subito quel vuoto, sarà un po’ come far resuscitare il suo cagnolino, io ho fatto lo stesso, se vuole potrei aiutarla, lavoro al canile Municipale, tenga questo è il mio numero, ci sono tanti cuccioli che non aspettano altro che qualcuno li porti via da  quelle gabbie. Mi chiami quando vuole, si faccia un regalo ancora una volta …>>
Abbozzai un sorriso mi voltai ed uscii. Fatte poche decine di metri di colpo mi fermai, misi le mani in tasca, e tirai fuori le uniche due cose che trovai, il guinzaglio di Fido oramai senza più nessuno a cui poterlo mettere, ed un numero di telefono …
Tornai così di corsa indietro per cercare dare un senso a quelle due cose che fatalmente mi ritrovai tra le mani ….



  
   
     

mercoledì 23 marzo 2011

Racconto " Nel segno di Caino" di Luca Pinna




La primavera ormai era alle porte, già da qualche giorno il clima sembrava essersi fatto più dolce, i colori tipici della stagione più attesa iniziavano a farsi notare. Già dal mattino presto nell’aria si avvertiva quel tipico profumo primaverile che invita chiunque ad uscire in strada, o a  lunghe passeggiate nei parchi completamente ammantati di quel verde acceso dalle mille sfumature pastello.
L’avvento della nuova stagione, in unione al tiepido sole, mi portò una ventata di buon umore, assieme all’irrefrenabile voglia di china. 
Difatti, durante tutto l’inverno passato, ero stato sul punto di farmi fare un nuovo tatuaggio, poi come spesso capita, per un motivo o per l’altro non lo feci. Marcare in modo perenne la propria pelle non è esattamente un giochino da ragazzi, tutti sanno che bisogna esserne convinti fino in fondo, del resto, una volta fissato sulla pelle ciò che più ci ispira, è per tutta la vita, una sorta di marchio perenne per cui ogni volta che ci va lo sguardo non bisogna poi pentirsene, ma al contrario esserne felici una volta di più.
Anni addietro passeggiando per le vie del centro, dalle parti di san Pietro, mi imbattei nella piccola bottega di un tatuatore, dove sulla vetrina si leggeva una frase che colpì la mia curiosità, “ Il segno di Caino” in riferimento appunto ad un verso della Bibbia che citava più o meno così:
Il SIGNORE mise un segno su Caino, perché nessuno, trovandolo, lo uccidesse." (Genesi 4:15).
Pertanto incuriosito entrai con la stesso trasporto di quando visito una libreria. Il proprietario in quel momento era impegnato in una conversazione al telefono, così aspettando che terminasse, iniziai a guardarmi attorno. Le pareti erano tappezzate dei suoi lavori, senza dubbio si trattava di un artista, un vero decoratore della pelle. Mi venne subito il gran desiderio di farmene uno, e glielo dissi, ma non avendo a più pallida idea su cosa “battermi” raccolsi il suo spontaneo e onesto suggerimento.
<< Non ci si tatua così tanto per tatuarsi, non è certo come comprare un chilo di pane o un litro di latte, il pane e il latte poi finiscono, bensì con un disegno sulla pelle ci dovrai convivere e andare d’accordo per tutta la vita …>>
Aveva ragione lui, sarebbe stata una sciocchezza imperdonabile, così lo ringraziai ed usci, rimanendo in me un caro ricordo di quell’onesto artista dei disegni sulla pelle.
Così tornando alla dolce primavera dei giorni nostri, il primo giorno utile che mi capitò, pensai di ritornare in quella bottega dal nome così bizzarro, ma al contrario di tanti anni prima, stavolta convinto su cosa fare. Ma al suo posto, anziché lui, ci trovai i suoi figli. Il loro papà mi dissero che nel frattempo era partito per un lungo viaggio intorno al mondo a tatuare gli angeli. Ma oramai ero deciso e convinto a farmi tatuare, così ne parlai con la ragazza che da li a poco avrebbe immortalato sulla pelle il disegno che avevo in testa da tempo. In modo molto risoluto e capace, non indugiò in nulla, dava davvero l’aria di sapere perfettamente cosa stesse facendo. Mi mise subito a mio agio, così subito dopo aver disegnato il mio “Sacro Cuore” pieno di colori, mi fece accomodare nel retro del suo studio. Solo allora mi venne in mente che quella era la prima volta che mi facevo tatuare da una ragazza, così stupidamente pensai al fatto che essendo una donna, avrei forse avvertito meno dolore, soltanto dopo dovetti ricredermi, considerando che a conti fatti un ago è comunque sempre un ago, anche se sorretto da una bella ragazza dagli occhi verde smeraldo e dal sorriso solare.
Il tutto si compì nel giro di soli venti minuti. Strinsi i denti per un po’, e tutto terminò prima di quello che credessi, tutto sommato il dolore non fu neanche così irresistibile, eppoi, come si dice, “dove non c'è dolore, non c’è neppure gioia …”



Racconto " La donna allo specchio" di Luca Pinna



Così dopo sette lunghi anni di spinosa convivenza con Elisa, sarei tornato nuovamente a far parte della sempre più nutrita categoria dei single. Pensare che all’inizio della nostra storia, che per altro credevo e speravo fosse un definitivo punto fermo nella mia vita, non avrei mai e poi mai immaginato di ritrovarmi nuovamente da solo ad un passo dai cinquant’anni. 
Di certo tutto questo non era nei miei propositi, tanto meno nelle mie intenzioni. Ma è pur vero che nella vita una sola cosa è certa, ed io evidentemente questo proverbiale saggio popolare non l’avevo considerato affatto. Avrei dovuto così riorganizzare tutta quanta la mia esistenza, con l’unica differenza di qualche anno in più sulle spalle, oltre a un senso di colpa di troppo sulla coscienza.
Sino a che poi non accadde l’irreparabile, la mia convivenza con Elisa ebbe un corso che potrei definire persino spumeggiante e ricco di ambiziosi progetti, nonché stimolante dal punto di vista sessuale. Difatti quando ci conoscemmo, entrambi reduci da due divorzi, praticamente non facevamo altro, ovunque, una volta ci capitò persino di farlo nel bagno di casa di alcuni nostri amici. Forse troppo, e forse solo quello. In seguito come naturalmente poi capita, la curva dell’interesse scese, assieme a tutto quanto il resto, sesso compreso.


A differenza del mio primo matrimonio, dove complice la mia giovane età ne combinai una dietro l’altra, ponendo così fine a quel rapporto, con Elisa non fu lo stesso. Fin dal primo giorno in cui la conobbi il mondo femminile per me si concentrò unicamente su di lei. Involontariamente Elisa agì su di me come un incantesimo, mi sentivo come pervaso da una magia. Attribuivo quel mio mite atteggiamento all’età, pensavo che oramai superate le quaranta primavere tutto si acquietasse, anche quel tipo di cose. L’avanzata maturità potesse porre dei limiti, d’altro canto ero soddisfatto ed appagato, non avvertivo un’esigenza superiore a ciò di cui nella sostanza già godessi, oramai sembrava davvero che tutto procedesse in maniera fluida, e senza intoppi, fin quando …
Esatto, perché un quando accadde.  E quel quando, si chiamava Eva.
Entrambi lavoravamo tutto il giorno senza che nessuno dei due potesse tornare a casa prima di sera, e questo ovviamente comportava notevoli disagi su ciò che riguardava il riordino e la pulizia della casa, far la spesa, lo stiro, le lavatrici e quant’altro, tutte faccende che venivano procrastinate ai danni del nostro fine settimana, per altro gli unici due giorni di libertà concessi, impedendoci così di divagarci ne riuscire mai ad organizzare qualche week end fuori Roma, da soli o con amici. E dato che Elisa impazziva se non era tutto in ordine fin nei minimi dettagli, arrivammo così alla sana conclusione di assumere una domestica. Per mio conto pensai fosse la scelta ideale, per altro un toccasana al nostro rapporto che già da qualche periodo attraversava momenti di duro attrito. Iniziammo così un passa parola tra i vari amici, oltre a qualche annuncio su Porta Portese. 
La cosa ebbe fin dalla prima settimana un esito favorevolmente inaspettato, fummo contattati in soli tre giorni da più di dieci persone, tutte molto disponibili ed interessate. Filtrate le meno adatte per motivi lontananza, il sabato successivo fissammo quattro incontri, tutti dislocati in diversi  orari uno dall’altro.


La prima che si presentò era una giovanissima ragazza filippina, ma dall’aspetto così talmente acerbo che pensammo non fosse neppure maggiorenne, una figura macilenta e magrolina a tal punto che con Elisa pensammo fosse addirittura malata o qualcosa di simile. La prima cosa che ci saltò in mente fu che non avrebbe mai potuto reggere la mole di lavoro che intendevamo consegnarle. Così garbatamente la pregammo di attendere un contatto dopo qualche giorno di nostra riflessione.


Il secondo appuntamento in lista fu quasi una sorpresa. Si presentò con un leggero ritardo una ragazza di circa trent’anni, ma portati con fatica, certamente dal marcato intercalare e dai tratti somatici era evidente avesse origini dell’est, sul viso erano chiari i segni della sofferenza tipici da dipendenza d’alcol o altro, da medico la cosa non mi fu difficile intuirla immediatamente, osservare alcuni dettagli non lasciava dubbio al fatto che fosse una persona con grandi difficoltà. Lo sguardo a tratti vitreo, discorreva a rilento, le mani livide e gonfie, unghie e capelli mal curati. Quando poi dialogando ci disse che non avrebbe potuto lavorare il sabato, per noi fu una specie di sollievo, un’ancora di salvataggio su cui ci attaccammo per declinare l’impegno. 


La terza ragazza che si presentò come Eva, sembrava andare decisamente meglio delle due precedenti, intanto dava l’impressione di essere una persona pulita ed ordinata,  e dagli atteggiamenti ben educati, per altro anche molto carina. Parlava un italiano quasi perfetto tanto da farmi pensare che lo fosse, ma in realtà era di origini albanesi, aveva trentadue anni, ed era arrivata in Italia con  suoi genitori a soli cinque anni. Elisa iniziò così a spiegarle quelle che erano le nostre esigenze, chiedendole cosa avrebbe preteso come salario, fu soltanto allora, pensando di aver trovato la persona giusta alle nostre necessità, che ci caddero le braccia in terra, quando la ragazza con un sorriso radioso ci chiese quale fosse la stanza dove avrebbe dovuto dormire in seguito.
Ovviamente il mal’inteso fece cadere in un nulla di fatto tutto quanto stabilito in precedenza. Non cercavamo una donna fissa in casa, non ce la saremmo potuta neppure permettere. Così Elisa dovette informarla che per quanto ci dispiacesse, seppure disponevamo di una stanzetta con servizio attiguo, non potevamo accontentarla dicendole la verità sul fatto che non potevamo farci carico di una spesa così eccessiva come quella di una domestica in pianta stabile. Mentre Elisa con fatica cercava di uscire da quella che era diventata una situazione imbarazzante, Eva sembrava accorta a riflettere, fin quando la interruppe dicendole.
<< Se il problema è soltanto di carattere economico, sono disposta a venirvi incontro accettando lo stesso salario di una donna ad ore pur lavorando tutto il giorno, questo a patto che mi prendiate con voi. Vi garantisco che non ve ne pentirete, sono perfettamente in grado di governare una casa da cima a fondo, faccio questo lavoro da oltre dieci anni, e con tutte le garanzie possibili, inoltre potrei fornirvi persino i contatti dei i miei vecchi datori di lavoro purtroppo trasferitisi all’estero. >>
Io ed Elisa ci guardammo in faccia del tutto spiazzati da quelle parole, i termini che Eva ci stava proponendo ci fecero tornare sui nostri passi, quindi le chiedemmo gentilmente di aspettarci qualche minuto in salone, mentre noi ci saremmo consultati meglio in cucina.


Dissi pertanto ad Elisa che a parer mio, attenendoci agli accordi da lei proposti, la cosa si sarebbe potuta anche fare, chiaramente non prima di aver stabilito regole ben precise sulle modalità logistiche della convivenza, oltre a qualche controllo che avrei fatto fare personalmente presso un mio caro amico carabiniere. Elisa dal canto suo non le sembrava vero, avrebbe così ottenuto ciò che più le interessava, una casa perennemente pulita ed ordinata ad un costo identico a quello di tanti altri nostri amici. Considerando poi che la stanza in oggetto, per pura fatalità, rimaneva esattamente nella parte opposta della casa rispetto il salone e le altre camere da letto tra cui la nostra, vedemmo questo particolare come un segno positivo tanto da decidere per un si.
Da quella mattina passò un mese esatto. Nei giorni immediatamente successivi al primo incontro avuto con Eva, presi informazioni su di lei, con il risultato che scoprimmo essere una persona dalla fedina penale cristallina, Elisa inoltre volle contattare i suoi vecchi datori di lavoro, che ci rasserenarono ampiamente sul suo conto, garantendoci l’affidabilità della persona, tra l’altro si dissero molto rammaricati di non averla più tra loro. Era tutto vero, come difatti nel tempo Eva dimostrò di essere.
Le giornate della nostra nuova coinquilina scorrevano cadenzate dalle sue solite abitudini. Di mattina si alzava prestissimo, apparecchiava la tavola per la prima colazione, poi una volta che io ed Elisa uscivamo per raggiungere i nostri rispettivi luoghi di lavoro, iniziava ad affaccendarsi nel rassettare quel po’ di disordine in casa, quindi verso mezzogiorno scendeva e si recava al mercato per comprare ciò che Elisa le lasciava scritto su di un biglietto la sera prima. Verso il tardo pomeriggio poi chiamava per sapere cosa organizzare per cena ed iniziare ad impostarla. Quindi una volta rientrati, serviva la cena, dava la buonanotte ad entrambi per poi  spariva nella sua cameretta da letto.
Un sogno!!! 
Dopo qualche tempo, dove per altro Eva mantenne un comportamento a dir poco ineccepibile, una mattina dovetti rientrare improvvisamente a casa a sua insaputa, per prendere alcuni documenti della casa richiesti dal mio commercialista. Evidentemente non mi sentì rientrare, ed io nella fretta non pensai di suonare il campanello come preavviso. Una volta in casa notai alcuni stracci per lo spolvero poggiati sulla consolle dell’ingresso, il secchio con gli stracci e lo scopettone nel salone, e i tappeti ben arrotolati in un angolo del disimpegno. Stava certamente lavorando. La chiamai ma non rispose, pensai allora che stesse in terrazzo o persino fuori casa per la spesa. Quindi mi diressi spedito verso il mio studio in fondo al corridoio. Ma proprio mentre passai davanti alla mia camera da letto, non volli credere ai miei occhi.
Eva era proprio li nella nostra camera matrimoniale con lo stereo acceso sulle note di “ Can’t get enough of your love Babe” di Barry Withe, se ne stava davanti al grande specchio dell’armadio con indosso un vestito di Elisa che le avevo regalato tempo addietro, ma che sino ad allora non aveva mai indossato. Inconsapevole di esser vista, sorridente volteggiava su se stessa con la grazia di una ballerina di danza classica di fronte alla sua immagine abbigliata da quel vestito da sera. Avvertii un senso di tenerezza infinito, per un attimo chissà per quale strano motivo mi venne in mente la fiaba di Cenerentola, che per tutto il giorno vestita di soli stracci non faceva altro che rassettare e governare ciò che le sorellastre di volta in volta sporcavano, così, per una volta in loro assenza, dava sfogo a tutta la sua femminilità.
Ero tentato di fare dietro front ed uscire senza farmi vedere, ma non potevo, stava infrangendo una regola, quale padrone di casa dovevo intervenire per forza, ma come? Pensai che Intervenendo avevo due sole possibilità, o mandarla via subito, o in alternativa richiamarla all’ordine, facendomi promettere che certe cose non le avrebbe mai più fatte, ma con il sospetto che trasgredendo una volta, l’accaduto potesse ripetersi. E comunque in tutti e due i casi, di certo Elisa non potevo lasciarla fuori, avrei dovuto dirle tutto, ma conoscendola sapevo fin troppo bene quali provvedimenti avrebbe preso nei suoi riguardi. I più drastici. Dovevo trovare una soluzione che  garantisse ad entrambi di non dare luogo a nessuna delle due possibilità a cui ero costretto. Così rimasi fermo sul corridoio ad osservarla ancora un po’. Dovevo farle capire in qualche modo che sapevo, ma in modo da non creare un precedente, doveva arrivarci da sola, magari nei giorni a venire con una scusa le avrei fatto una battuta che potesse farle venire il dubbio che sapessi della sua mancanza, ma al tempo stesso non sapessi.
Eva rimase ancora qualche istante davanti allo specchio, poi in un attimo sganciò un bottone dietro il collo e l’abito di colpo si sfilò cadendole ai piedi con la stessa rapidità di un fazzoletto di seta, rimanendo così soltanto con gli slip, fu in quel momento che per la prima volta da che era in casa, la guardai non come “la domestica” bensì come una femmina, la cosa mi scosse, non mi era mai capitato prima da che stavo con Elisa. Era di una bellezza imbarazzante. Tornai subito indietro senza farmi sentire, aprii la porta di casa richiudendomela alle spalle, così uscii. Feci passare qualche minuto e suonai il campanello. Dopo qualche istante d’attesa sentii Eva chiedere chi era. A quel punto mi presentai ed aprii la porta con le chiavi.
<< Buongiorno dottore, come mai a quest’ora?>> Chiese visibilmente imbarazzata.
<< Buongiorno Eva, sono passato per prendere delle carte nel mio studio, tutto bene? >>
Nel frattempo si era rivestita dei suoi soliti vestiti di tutti i giorni. Ripassando davanti alla mia camera da letto, mi accorsi che la porta nel frattempo era stata chiusa. Evidentemente non aveva fatto in tempo a rimettere al suo posto ciò che non avrebbe dovuto neppure guardare.
<< Le preparo un caffè dottore? >>
<< Volentieri Eva, grazie >>
Pensai che accettare mi potesse dar modo di risolvere subito quell’antipatico e scomodo fuori programma, temevo che rimandare la cosa non avrebbe avuto più lo stesso risultato. Raccolte le carte di cui avevo bisogno, mi accomodai in cucina con Eva che intanto mesceva il caffè, ma non in una, bensì in due tazzine. Così capii che aveva deciso da sola che avremmo preso insieme quel caffè senza chiedermi nulla. Non ci vidi niente di male, ciononostante la cosa non la ignorai. Quindi porgendomi la tazza, aprì una sedia dal tavolino e si sedette proprio di fronte a me. A quel suo gesto mi assalì uno stato di agitazione, ma non tanto per le arbitrarie licenze che si stava prendendo, quanto per il modo e la risolutezza con cui si muoveva e mi guardava. Con un filo di ironia allora le dissi.
<< Per caso ti sei chiesta se volevo prendere un caffè con te? >>
 Per tutta risposta usando i miei stesi toni sarcastici Eva rispose.
<< E’ vero … ma che stupida!! Non gliel’ho chiesto, ho fatto tutto così in modo naturale.. >>
Quindi dopo un attimo di silenzio con aria del tutto maliziosa, aggiunse.
<< Del resto dottore, pochi minuti fa neanche lei si è chiesto se poteva guardarmi nuda davanti allo specchio, giusto? >>
A quell’allusione provocatoria mi inalberai, poggiai la tazza mezza piena sul piattino e cambiando espressione le dissi.
<< Eva, come ti permetti!!! Anzi, dato che hai sollevato tu l’argomento, vorrei sapere come ti è venuto in mente di aprire l’armadio della signora e provarti i suoi vestiti? Lo sai che per questo potrei mandarti via su due piedi?>>
A quelle mie parole Eva sgranò prima gli occhi incredula, poi dopo qualche altro istante di perplessità portò una mano sulla bocca e scoppiò in una risata.
<< Non credo ci sia nulla da ridere Eva, sono molto arrabbiato per questo, hai tradito la fiducia che avevamo riposto in te. Stasera ne parlerò con la signora Elisa, per poi decidere cosa fare, ma non ti aspettare nessuna comprensione. >>
Le mie parole sembrava che non l’avessero turbata affatto, al contrario non smetteva di ridere lasciandomi nel più profondo imbarazzo, fin quando non smise e disse.
<< Mi dispiace dottore se ha creduto che io potessi fare una cosa simile, in effetti l’abito con cui mi ha vista poco fa, non è più della signora Elisa da quando pochi giorni fa, mi ha chiesto se mi faceva piacere averlo, tutto qui, si è trattato semplicemente di un regalo, e stamattina me lo stavo provando per la prima volta in camera sua, dato che nella mia cameretta non c’è uno specchio così grande.>>
Trasecolai, non mi era minimamente passata per la mente una simile ipotesi, quindi sprofondato nel più cupo imbarazzo tentai uno sterile recupero.
<< Sono senza parole Eva, scusami, mettendomi nei miei panni capirai bene che il tutto poteva far pensare a male. >>
<< La capisco, non si preoccupi certe cose possono capitare >>
Poi aggrottando le sopracciglia con aria dubbiosa aggiunse.
<< Piuttosto mi dica, come la mettiamo con la signora Elisa? Dovrà venire a conoscenza di tutto ciò che è accaduto stamattina, o forse è meglio tenerla fuori da ogni cosa? >>
Quindi senza darmi neppure il tempo di replicare, si alzò dalla sedia rimettendo a posto i resti del piccolo break e continuò.
<< Certo che se deciderà di informarla, dovrà sapere tutto nei minimi particolari, anche  ciò che pur non volendo ha assistito, sono certa che per la signora sarà un dolore, ricordo ancora  quando appunto mi ha regalato quell’abito, di avermi  pregata di non dirle nulla per evitare che lei si potesse offendere. Tutto questo crede che possiamo farlo diventare un nostro piccolo segreto dottore? >>
Mentre sciorinava quel suo machiavellico piano, non riuscivo a togliere da davanti agli occhi la sua immagine completamente nuda davanti a quello specchio. Qualcosa era accaduto. Così decisi per la cosa peggiore che potessi pensare, ossia darle ragione e ovviamente come si potrà intuire, finendoci a letto dopo neppure una settimana … Tutto il resto, sarebbe inutile che lo scriva …

  


   



sabato 19 marzo 2011

Poesia. "Dai sempre il meglio di te" Madre Teresa di Calcutta



Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,

i capelli diventano bianchi,

i giorni si trasformano in anni.
Però ciò che é importante non cambia; 

la tua forza e la tua convinzione non hanno età.

Il tuo spirito e` la colla di qualsiasi tela di ragno.
Dietro ogni linea di arrivo c`e` una linea di partenza.

Dietro ogni successo c`e` un`altra delusione.
Fino a quando sei viva, sentiti viva. 

Se ti manca cio` che facevi, torna a farlo. 

Non vivere di foto ingiallite…

insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni. 
Non lasciare che si arruginisca il ferro che c`e` in te.

Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto. 
Quando a causa degli anni 

non potrai correre, cammina veloce.

Quando non potrai camminare veloce, cammina.

Quando non potrai camminare, usa il bastone.

Pero` non trattenerti mai!

mercoledì 16 marzo 2011

Racconto. "L'ansia da prestazione" [ Luca Pinna ] "99"




L’ansia da prestazione



Arrancavo da circa un paio d’anni nel tentativo di uscire da un tunnel sempre più  buio, e dal quale credevo non venirne più fuori.
Avevo appena compiuto quaranta anni, soltanto dieci anni prima avevo giurato a me stesso che a questa età avrei raggiunto gli obbiettivi che mi ero posto sino ad allora.
Così pur di ottenerli imposi a me stesso di studiare anche di notte fino ad ottenere quei famosi pezzi di carta, indispensabili a cambiar volto al mio lavoro e alla mia esistenza, e grazie ai quali, avrei avuto modo finalmente di esercitare la tanto sospirata professione di intermediatore immobiliare.
La mia vita sino ad allora era proseguita tutta in salita, e come si dice in queste  casi, sarei riuscito a trovare un giusto spazio in una classe sociale più agiata e condita di tutte quelle cose apparentemente “necessarie” che fanno di un uomo una persona di successo. La costosa automobile, gli abiti firmati, orologi preziosi, la seconda casa al mare, l’iscrizione al circolo più rinomato della città. Dettagli senza dubbio appariscenti, ma essenzialmente del tutto futili.
A trentasette anni iniziarono i miei  primi incontri con un analista. Le motivazioni che mi spinsero a contattarla, erano legate ad alcuni episodi riguardanti la sfera intima della mia esistenza, disguidi che avrebbero allarmato ogni uomo, in aggiunta ad un notevole stress che pian piano iniziava a minare e a mietere vittime tra tutti coloro con i quali, per un verso o per l’altro avevo a che fare. 
Di certo un pessimo requisito per chi come me, aveva il dovere di apparire agli occhi delle persone con cui trattavo, una certa  loquacità e massima disponibilità.
La causa scatenante di tutto avvenne il giorno in cui si verificò la mia prima cilecca. Nulla … “lui” il mio sesso, sembrava completamente scollegato dal cervello, inutile starvi qui a raccontare come un orgoglioso maschio trentacinquenne, nel pieno delle sue forze fisiche e mentali, possa rimanere in simili circostanze. 
Inoltre un elemento aggravava pesantemente il tutto sul piano psicologico. 
Per chi quell’età l’ha già superata, sa bene che può capitare facilmente di essere oggetto di interesse sessuale da parte di donne molto più giovani di te.
Ed era proprio in tali situazioni che entravano in gioco le maledette “pippe mentali”, ovvero, l’ansia da prestazione; l’imbarazzo e il senso di competizione con uomini più giovani.
Senza alcun dubbio, certe esperienze non le avrei augurate neppure al mio peggior nemico. Nella mente si andavano ad innescarsi meccanismi diabolici, si inizia ad essere risucchiati da una spirale di autoconvinzione inconscia, per il quale  si inizia a credere che certi strani fenomeni, siano ad effetto domino, e ripetersi di continuo, come difatti fu per me, con il magro risultato poi, di trascorrere i tre anni più tormentati di tutta la mia vita.
Le sedute dallo strizza cervelli servirono a ben poco, e probabilmente come saggiamente suggeriva l’analista, taluni blocchi avevanoi loro tempi naturali,  arrivano improvvisamente così senza preavviso, e come d’incanto un giorno spariscono, chiaramente tutto questo solo una volta acquisita quel po’ di serenità interiore mancante a causa di una vita  troppo sregolata.
Il risultato fu che per i nove mesi successivi non toccai una donna, pur desiderandola moltissimo.


Una mattina in quel canonico periodo di astinenza forzata, dovevo incontrare un cliente che vendeva un appartamento a causa di un trasferimento di lavoro all’estero, avrei dovuto fare una stima al suo patrimonio immobiliare e successivamente trovargli un acquirente a cui venderlo.

La sera prima,  si svolsi il solito rituale che ormai andava avanti da  troppo tempo, mi ero intrattenuto davanti al televisore fino a tardi, poi verso le due e mezza mi addormentai sul divano. La mattina seguente al risveglio mi sentivo uno straccio, ma subito dopo una doccia calda, ero lì davanti allo specchio cercando la cravatta più intonata all’abito fresco di tintoria e pronto a raccogliere le  mie più accattivanti idee su come affrontare il mio impegno.
Avvocato R. Busi, questo era il nome che Barbara la mia segretaria  aveva scritto sulla mia agenda, sottolineando l’indirizzo e il civico della proprietà in vendita,  seguita da un’ annotazione che diceva “L’appuntamento e’ alle h:10,30 in via Cola di Rienzo davanti al bar Castroni, l’avvocato vuole prima incontrarla, dopodiché  la condurrà all’appartamento non lontano da lì. N.B: persona molto risoluta, e garbata, se le serve il numero del suo cellulare mi contatti.”
Generalmente questo tipo di richieste un cliente le fa quando vuol spiegare a chi  dovrà occuparsi poi dell’affare, elementi o indicazioni preliminari che siano di comune accordo  tra le parti, quindi  se poi si sente soddisfatto, assieme  si visita l’immobile.
Alle h:10,00 ero già davanti al bar indicato, l’ampio anticipo mi diede la possibilità di fare colazione comodamente seduto e  leggermi il giornale che avevo comprato appena sceso di casa.
Era una bellissima giornata di sole, mi sentivo bene nonostante l’itera nottata passata sul divano, intravedevo compiaciuto la mia immagine riflessa nella vetrina del bar, impettito ero lì a gambe accavallate, con il quotidiano spalancato davanti al naso, i resti della colazione consumata con gusto sul tavolino.

Di fronte a me sedeva un’elegante donna mora nascosta dietro un paio di occhiali scuri che non  permettevano di guardarle gli occhi, non capivo neppure se mi stesse osservando o meno, seppure la direzione della sua testa era rivolta proprio al mio tavolo. Indossava una camicia bianca gessata a costine larghe, i pizzi lunghi, la scollatura sufficientemente audace, da far intuire un seno forte. Una gonna stretta  grigio scuro in tono con la camicia, e delle scarpe aperte color rosso vinaccia.
Mi ricomposi un po’.
L’osservavo con la coda dell’occhio, quando ad un tratto la vidi allungare una mano per afferrare il bricco del caffé, ma senza accorgersene lambì casualmente il piccolo telefono cellulare appoggiato sul bordo del tavolino, facendolo così cadere a terra. Spostai un angolo del giornale, piegai la testa in basso in direzione del telefono, fu allora che notando il mio movimento, mi guardò senza dire nulla, oscillando  la testa a destra e a sinistra come per alludere a qualcosa del tipo, “qualche problema?” alzai lo sguardo la fissai, lei sollevò gli occhiali sulla fronte sgombrandole il viso dai capelli, mostrando così due occhi neri colmi di carattere, uno sguardo penetrante che mi bucò.
Cazzo era bellissima… ai lati della bocca i solchi forti d’espressione cingevano due  polpose labbra rosse, le mascelle larghe lasciavano intuire una dentatura forte.
La fronte perfettamente rettangolare, spaziosa al punto giusto, le tempie stabilivano il giusto confine dell’attaccatura di quella che sembrava una cascata di capelli nero corvino.
Cercai di non darle l’impressione di un ragazzino di quindici anni folgorato dalla sua bellezza prepotente, così con un leggero accenno di sorriso le dissi.

<< Le é caduto il cellulare, credo non se ne sia accorta >> 

Piegandomi come nel gesto di raccoglierlo,ma lei fu più veloce, scavallò le gambe con la grazia di una ballerina di danza classica, allungò una mano e in due secondi il telefono era di nuovo sul tavolino a far compagnia al bricco del caffé.

<< Molto gentile, la ringrazio,  ad essere sincera non me ne ero accorta,  mi scusi per di un attimo fa, non volevo essere scortese, ma credevo volesse attaccar bottone >>

Rispose sfoggiando un  largo sorriso dando sfoggio a  denti bianchissimi.

<< Ovviamente non conoscendoci capisco bene ciò che può aver immaginato >>

Quindi aggiunsi.

<< Sa non è proprio nel mio stile  tentare abbordi con persone che non conosco, per di più in strada, mi creda oltre che non ne avrei il coraggio, non saprei neanche da dove iniziare, sono un inguaribile timido, quasi una frana, anzi, tolga pure il quasi >>

A queste mie confessioni  ci fece su una risata mista tra l’imbarazzo e il divertito.
La naturale ammissione di certo le piacque, assunse così una posizione più rilassata e leggermente verso la mia direzione. Accavallò nuovamente le gambe.

<< Vede, le donne io le faccio ridere, ma non più di quello >>

 Aggiunsi ridendo anch’io.

<< Forse lei ignora il diabolico potere che esercita un uomo su di una donna quando riesce a farla ridere di cuore…potrebbe ottenere di tutto da chiunque >>

mi disse con aria lievemente misteriosa.

“ Mi scusi, ma lei crede davvero che io possa nasconda qualche misterioso potere diabolico? Le faccio una domanda, mi risponda con sincerità, lei per caso un istante fa stava forse ridendo di cuore? >>

A questa mia inaspettata domanda fatta a bruciapelo, le si spense il sorriso dalla bocca sino a svanire del tutto, poggiò il bicchiere d’acqua,  afferrò il tovagliolino di carta sul tavolo  ad uso della colazione si asciugò le labbra e disse.

<< Lo vede che qualcosa di diabolico c’è anche in lei? In ogni uomo esiste, mi  fa una domanda personale e direi inopportuna rispetto a ciò che  avevo affermato pochi istanti prima, non trova? Cosa è questo se non diabolico? In ogni caso siccome sono una persona sincera come  vuole che io sia, e come per natura io sono… le dirò che il mio sorridere di prima era di cuore, ma senza nessuna velleità nel tentare di ottenere nulla, contento? >>

<< Ecco, ho di nuovo combinato un pasticcio, mi creda non volevo assolutamente indisporla, la mia non voleva essere una  provocazione, tanto meno un  mero tentativo per sondare alcun  terreno, ma  solo una semplice curiosa domanda,
pensare che possa aver riso solo per il gusto di ridere, mi avrebbe  fatto  piacere, tutto qui”

Risposi convinto, non nascondendo tra le righe una sfumata fermezza nella risposta.

Ci fu un’interminabile minuto di silenzio. Le avevo mostrato carattere.

Con aria spazientita controllò il suo orologio, si guardò attorno come se stesse aspettando qualcuno che si faceva attendere, si accese una sigaretta a poca distanza dalla precedente, nel frattempo gli occhiali erano tornati al loro posto naturale, lessi la cosa come una chiusura.

Di colpo mi venne a mente il mio appuntamento delle 10,30 con l’avvocato R. Busi, controllai anche io il mio orologio erano le 10,45, il mio cliente aveva un ritardo di un quarto d’ora, chiamai Barbara in ufficio sollecitandole di contattare l’avvocato e farsi dire il motivo per cui non era ancora arrivato, e soprattutto cosa avrei dovuto fare, se aspettarlo o meno.
Cinque minuti dopo Barbara mi chiamò per comunicarmi che non poteva mettersi in contatto con l’avvocato, informandomi che il suo telefono risultava essere spento. La ringraziai, e ricordandomi di non avere altri appuntamenti nel corso della mattinata, le dissi che  avrei aspettato qui altri dieci minuti, per poi tornare in ufficio in giornata.

Non volevo affatto rovinare una mattinata di sole come quella per un appuntamento bucato, e poi mi infastidiva l’idea di aver interrotto in quel modo arido la conversazione con quella donna di cui avrei voluto sapere di più.

Aspettai il momento giusto che lei fosse girata verso di me e le dissi

<< Bhé sembra che la nostra conversazione non abbia avuto un gran successo, anzi, sembra abbia alterato i nostri umori, mentre invece credo dovremmo essere alleati,  suppongo che  stia aspettando  una persona che  non arrivi. Comunque mi scusi per il tono di prima >>,

 Così dicendo le porsi la mano e dissi,

“ Comunque piacere, io mi chiamo Vanni ”

<< Ma si immagini, ci vuole ben altro per alterare il mio umore, ad ogni modo piacere mio, io mi chiamo Rita >>

Rispose mostrando un sorriso solare in piena simbiosi con i colori della giornata. Stese la mano per afferrare la mia con un certo vigore nonostante fosse una mano sottile come quella di una liceale, la morbidezza della sua pelle, il suo sguardo fissava il mio con cordialità, non si mostrava assolutamente risentita.

<< Sa cosa mi fa pensare tutto questo? >>  Le dissi sorridendo

<< Ad una frase che mio nonno ripeteva spesso, e cioè, che non tutti i mali vengono per nuocere, le sembrerà banale ma aver avuto occasione di conoscerla, seppure in una circostanza così bizzarra mi è piaciuto. Questo è il mio modo di dirle che la sua presenza   mi fa sentire bene, ecco tutto.>>

<< Guardi potrei diventare rossa di fronte a tanta galanteria d’altri tempi, scherzo, anzi ne sono molto lusingata, mi ha fatto un gran complimento grazie di cuore davvero, da molto tempo non sentivo un uomo dire cose del genere >>

Era sincera, lo si leggeva nei suoi occhi.

Le sue parole  mi fecero piacere a quel punto mi feci coraggio e  le chiesi.

<< Crede che sia troppo sfrontato se le dicessi  che mi piacerebbe tanto bere un qualcosa seduto al suo tavolo?>>

<< Direi proprio di no! Non è mia abitudine, ma il destino questa mattina sembra  ci abbia riservato la stessa sorte,  non vedo cosa ci sia di male continuarla a dividere assieme bevendo un caffè allo stesso tavolo, d’altra parte pericoli non ne correrò di certo, venga prego si accomodi. >>

L’invito a sedermi tuttavia mi colse impreparato, pensai potesse glissare la mia richiesta con una qualsiasi scusa,  goffamente raccolsi le mie cose mi voltai e trovai posizione nella sedia alla sua sinistra.
Mi resi conto subito che tra i due  l’impacciato ero io, Dio adesso cosa le avrei detto, quale argomento affrontare evitando di dire sciocchezze, non ero abituato a simili pratiche, mi ero infilato in una situazione imbarazzante,  vero è che non era mia abitudine “rimorchiare” donne in strada, ma dovevo pur uscirne fuori, reagire.

<< Allora guardi l’aiuto io >>

Disse prontamente lei dopo due secondi di incertezza, intuendo miracolosamente la mia situazione. 

<< Si segga comodo, magari chiami il cameriere per farsi portare quello che desidera bere, ma soprattutto si rilassi, che fa adesso mi si blocca? non sa come affrontare la questione? Non è semplice eee…Aveva ragione, lei quando ammetteva di non saper gestire certe situazioni, si vede lontano un miglio che non ha molta dimestichezza. Posso suggerirle una cosa? >>

Aggiunse a bassa voce sporgendo il busto come si usa fare quando non  si vuole che altri sentano

<< Se è vero che certi uomini  hanno la capacità di ottenere molto dalle donne facendole ridere proprio come le dicevo un attimo fa,  nulla è  a confronto di ciò che possono  ottenere alcuni altri uomini che si mostrano  senza difese  come lei in questo momento. Niente di personale, la prego non mi fraintenda, legga la cosa nel modo più carino possibile, esattamente per come glielo ho confessato. >>

Tirai un sospiro di sollievo, “ Alleluia” Dissi con gioia

<< Accidenti che potere, in due parole mi ha tolto da un grande impaccio da cui mi sentivo davvero stretto. Ma non sono sempre così, è il ghiaccio iniziale che trovo difficile infrangere, una volta superato quell’ostacolo poi va tutto meglio.>>

<< Oddio cosa dovrò aspettarmi ora, devo forse preoccuparmi per i prossimi dieci minuti? >> Disse sorridendo con lo sguardo scherzosamente preoccupato.

<< Mha!! Chissà staremo a vedere… magari potrei corromperla proponendole un secondo caffè, o addirittura spingermi più in là  tentando un invito a pranzo”>> Risposi  sogghignando,   stemperando cosi  l’aria che s’era creata a causa del mio disagio.

Intanto dal bar usciva un mio conoscente, uno di quei tipi che saluti tutti i giorni durante la pausa pranzo, conosciuti chissà dove e chissà quando, presentato da non ricordo chi, una di quelle persone mai trattate che ogni volta che ti incrocia sembra essere sempre il tuo compleanno lasciandosi a  manifestazioni talvolta eccessive e fuori luogo, come appunto in questi casi dove ti piacerebbe non imbatterti in nessuno per non sottrarti a ciò che stai facendo.

<< Vanni come stai >>

Disse strizzandomi simpaticamente l’occhiolino, neanche fossimo due boy scout   tornati insieme da una gita ai laghi.

Ovviamente non ricordandomi  il nome, seppure l’abbia mai saputo in un lontano passato remoto, cercai di ricambiare il saluto  con lo stesso tono, sforzandomi di far uscire dalla bocca un sorriso quanto più veritiero ma sicuramente più spento del suo.

<<  Che sorpresa, che ci fai qui? >>  Gli chiedo con la peggior faccia da culo

>> Ma come sarebbe Vanni!!! >> Mi risponde lui con aria sbalordita.

<< Ma che domande mi fai, non sai che ho uno studio legale proprio di fronte al tuo ufficio?, sei sempre il solito burlone, non cambi mai >>

Poi volgendo lo sguardo verso Rita spudoratamente le dice

<< Suo marito è sempre stato cosi sa,  si figuri che se non ci fosse stato lui al liceo saremmo morti tutti di disagio esistenziale, io le parlo per quello che posso ricordare nel primo anno, poi cambiai istituto e ci perdemmo di vista, si figuri che una mattina fece accorrere un’ambulanza a scuola dicendo che il vecchio preside era in fin di vita colpito da una sincope, o come quella volta che ordinò trenta caffè al bar di fronte la scuola imitando al telefono la voce del bidello, le garantisco, davvero un mito >>

Rita avendo furbamente intuito che non mi ricordavo affatto del profanatore di momenti magici, stette magistralmente al gioco dicendogli

<< Non so proprio cosa dirle, uomini come Vanni raramente perdono la loro sindrome da Peter Pan esternandola di tanto in tanto nelle occasioni più disparate, questo è uno dei tanti motivi per cui l’ho sposato >> Aggiungendo,

<< Ma mi dica sbaglio o  mi è parso di capire che lei è avvocato >>

La mia faccia intanto era diventata un arcobaleno appena dopo un acquazzone, frattanto mi ero  ricordato del cretino e anche del suo nome, Bonomelli, si chiamava proprio come la camomilla, un idiota sempre dietro le quinte, continuamente in attinenza con il suo cognome sonnolente, mite, tranquillo ed inutile ad ogni causa  collettiva, produttiva o meno. Rita magistralmente capovolse le sorti di quella che poteva rivelarsi una gran seccatura, avviando una sterile conversazione, costringendo l’ometto ad un botta e risposta di amenità,  credo si volesse divertire alle sue spalle o per lo meno intuii che ne aveva una gran voglia.

<< Si signora sono avvocato, avvocato matrimonialista per la precisione, e mi auguro di non doverla mai incontrare come cliente nel mio studio, seppure sa, come si dice… mai dire mai, giusto Vanni?>>

Mi disse piegando la testina pelata decorata da due orecchie simili a quelle di un ciuco siciliano, con le mani sicuramente sudaticce, in tasca ad un paio di pantaloni color cacarella,  oramai lo odiavo. Rita a questa affermazione fu lestissima, non mi diede il tempo di replicare dicendo.

<< Mi creda  avvocato, ammessa l’ipotesi che la sventura possa accadere, e mi dia libertà di considerarla al momento un’ipotesi quantomeno utopica, temo che il suo studio non avrei comunque il piacere di visitarlo,  qualcosa mi dice che potrei considerare  tutta la faccenda in modo più razionale e meno esoso  nel mio studio>>

Così dicendo, sorridendo gli tese la mano dicendogli,

<< Sono una sua collega, piacere, avvocato Rita Busi. >>

Mi voltai di scatto fissandola con occhi allucinati !!! Lei era il mio appuntamento bucato delle 10,30… difatti Barbara nelle note aveva appuntato Avv. R. Busi… Era proprio lei !!!

“Una collega!! hai capito il Vanni, ti sei sposato un avvocato, che furbo, me lo avessero detto non ci avrei mai creduto, la trasgressione fusa all’osservanza delle regole, è proprio vero che la gente cambia, col tempo si iniziano ad apprezzare cose di cui in passato non si dava peso, trovo tutto questo meraviglioso, complimenti davvero amico mio >>

In un primo momento il sottile sarcasmo del Bonomelli mi aveva lasciato indifferente, ma  dopo essermi accorto di un mezzo sorriso ironico di Rita alla  piccola requisitoria dello scimunito dai lunghi colletti inamidati sul conto dei miei trascorsi liceali mi fece irritare, allora gli chiesi di accomodarsi al nostro tavolo, se dovevamo  giocare, allora dovevamo partecipare attivamente  tutti e tre, me compreso, lo rimirai bene in faccia con aria trasecolata e  gli dissi:

<< Riccardo Bonomelli… ora ci sono, ecco chi diavolo sei, il “camomilla >>

Poi sfoggiando un ampio sorriso  aggiunsi:

Di certo non ti offenderai se rispolvero il tuo simpatico nomignolo usato ai vecchi tempi spero, ma come no, il mio vecchio compagno di liceo >>  E rivolgendomi a Rita, aggiunsi.

<< Pensa tesoro, Riccardo già da piccolo dimostrava già una certa predisposizione, all’equa misura, alla morigeratezza. Si questo forse è il termine che più ti calzava, non trovi? Mai che avesse contribuito a qualcuna delle nostre lotte di classe, per non parlare delle occupazioni della scuola, nulla, Riccardo di fronte a certe vicende rimaneva assolutamente disinteressato. Un vero qualunquista. Ti ricordi  Riccardo quel pomeriggio quando intervenne la polizia dove ci fu quella carica dei celerini per riprendere possesso della scuola occupata? Beh una volta andati via i poliziotti con un pugno di mosche in mano, ti venimmo a cercare persino nelle cantine, macché, nulla, volatilizzato …, e ti ricordi poi cosa ci dicesti due ore dopo quando ti scovammo in presidenza assieme ai professori, l’unico posto dove mai avremmo creduto di ritrovarti? >>

Rita da vera serpe guardandolo fisso con una di quelle facce che si fanno quando si stai morendo dalla voglia di sapere sfacciatamente gli chiese:

<< Cosa disse avvocato, perdonerà la mia curiosità, ardo dalla voglia di sapere? >>

A quel punto l’avvocato cambiò espressione, assumendone una simile alle tante viste in tribunale da parte di chi siede sul banco degli imputati sotto pressione, la sedia dove lo avevo esortato ad accomodarsi iniziò a bruciargli sotto il sedere, passandosi poi ripetutamente il dito indice della mano all’interno del colletto della camicia tanto era sudato, ed io lo guardavo e godevo sazio di vendetta.

Ad un tratto con aria seccata senza guardare in faccia nessuno dei due rispose:

<< Ma nulla si immagini cosa potevo capire a quell’età di repressioni scolastiche, in gioventù sono sempre stato poco attento a queste cose bellicose, ero molto più attento ad altro >>

 Io e Rita complici ci voltammo guardandoci all’unisono, avevamo capito a quali pettegolezzi era interessato il camomilla. E alzandosi concluse:

<< Comunque, si sta facendo tardi, tra poco arriva un cliente in ufficio e non voglio farlo aspettare, non è nel mio stile >>  Così porgendo la mano in segno di commiato a Rita aggiunse con un lieve tono di sfida nei miei confronti:

<< Sono certo signora che anche suo marito non ritarderebbe mai ad un appuntamento di lavoro >>

Rita esibendo un sorriso diplomatico stringendogli la mano disse:

<< Mah.. per quanto irreprensibili si possa essere, talvolta capita di mancare ad un appuntamento anche senza volerlo, magari per una  pura e semplice banalità, pensi che giorni fa io stessa ne sono rimasta vittima. Il mio cellulare risultava spento dopo essermi caduto a terra, impedendo così a chiunque di rintracciarmi, aspettando invano un immobiliarista per più di un’ora pensando così di aver preso una buca, ignara del fatto che involontariamente  la stavo dando io. Ciò nonostante capita spesso di rimane vittime di tali imprevisti, come è accaduto a mio marito appunto questa mattina, proprio con un nostro collega si immagini, imperdonabile per la nostra categoria non trova?  Tuttavia Trovo che non sia stato poi un danno cosi grave, anzi, il contrattempo ci ha dato modo di incontrarla, altrimenti  chi sa quando  sarebbe stato possibile, e se mai ce ne sarebbe stata  occasione, non trova? >>

Aveva capito tutto…possedeva un’intelligenza straordinaria, ma forse si trattava semplicemente di intuizione femminile, dote che molto spesso fa la differenza.

Il Bonomelli  con zelo alzò i tacchi e frettolosamente era già all’angolo di via Tacito sparendo alla  nostra vista tra la gente diretto al suo studio.

Io e Rita dopo esserci spiegati e divertiti sull’accaduto, decidemmo di regalarci un pranzo assieme. Da quella mattina  di pranzi ce ne furono altri e altri ancora, dividemmo insieme anche molti fine settimana, un paio di vacanze, natali e capodanni.
Sono passati cinque anni da quell’ incontro bizzarro, di qui tre da sposati, ed uno da papà, dal momento che conobbi Rita, i miei problemi  terminarono, ora sono un uomo libero da ansie, dubbi, insomma un uomo gioioso di vivere la vita.