giovedì 14 aprile 2011

"L'approssimarsi della bellezza" di Luca Pinna



A patto che qualcuno in gioventù ne abbia goduto, la bellezza presto o tardi svanirà. 
Inesorabilmente, lascierà il passo ai segni impietosi delle rughe sui nostri visi, i solchi della maturità tratteggeranno le nostre espressioni. La nostra immagine muterà, dando ogni giorno di più, l'idea del tempo che passa.
Ma tutto questo va interpretato come un evento crescente per la nostra ricchezza interiore.
Chi si danna per l'approssimarsi della bellezza, non è una persona felice, e non lo sarà mai sino a che non accetterà di convivere serenamente con un'altro se stesso. 

martedì 5 aprile 2011

Racconto "16-10-1943" di Luca Pinna



                                                                      
                                                            16-10-1943


Gli ci volle un tempo infinito affinché Giacomo si rendesse conto realmente di non essere un vero e proprio scrittore, come viceversa lui avrebbe voluto o  almeno pensava di essere …
Fu questa l’amara realtà con cui suo malgrado, si dovette confrontare ed accettare. La sua parte più virtuosa, la meno semplice da affrontare, doveva convincersi una volta per tutte che scrivere, ma scrivere per davvero, non era affatto una cosa semplice, bensì, forse una delle cose più difficili da fare al mondo.
Tuttavia, quell’irrefrenabile suo bisogno di mettere tutto nero su bianco, concetti, aneddoti, esperienze e tutto quanto gli girasse intorno, non lo mollava mai un attimo, per qualche strana alchimia dover scrivere era per lui fuori da ogni suo controllo. 
Di tanto in tanto tirava fuori carta e penna ed annotava tutto ciò che lo colpiva, pensieri, espressioni, proverbi, esclamazioni,  inconsueti vocaboli,  tramutando inevitabilmente poi il tutto in qualcuno dei suoi brevi ma leggeri racconti. 
L’entusiasmo che lo pervadeva scrivendo, drammaticamente si affievoliva fino a sparire quasi del tutto leggendo. 
Erano quelli i momenti in cui percepiva l’esatta misura che ci correva tra un vero scrittore e lui. Poca cosa a confronto, pressoché il nulla. 
Gli venne in mente così che, esisteva gente che si limitava a guardare e chi invece aveva la dote di saper osservare, chi semplicemente sentiva, e chi  invece sapeva ascoltare. C’era poi chi scribacchiava, come Giacomo, e chi sapeva narrare, come appunto facevano i veri narratori … 
Questo era ciò che gli balenava per la mente tutte le volte che si accingeva a leggere cose di autori nati con il dono divino di saper immortalare con la penna attimi di vita, volti, luoghi ed emozioni in maniera fotografica. 
La possibilità di costruire una storia, renderla avvincente, nutrirla di colpi di scena, arricchirla con vocaboli ed espressioni uniche, senza mai far scendere l’entusiasmo del lettore, ebbene, tutto questo per Giacomo si rivelava un compito titanico, insormontabile al punto tale che il più delle volte, suo malgrado era costretto ad interrompere il suo lavoro a metà.
Smise così di scrivere per un lungo periodo dedicandosi completamente alla lettura. Una sorta di religioso ascetismo letterario.
Così alla fine si convinse che non avendone le doti, non avrebbe più mirato a raggiungere quel sogno, ma qualora avesse ripreso a scrivere, non avrebbe più reso pubbliche le sue scritture mantenendole allo scuro di chiunque. 
Astenersi dallo scrivere gli procurava una sofferenza quasi fisica, come volesse infliggere una punizione a se stesso, ma al tempo stesso necessaria al bene della sua formazione letteraria.
Trascorso quello che ritenne un tempo necessario, Giacomo pensò giunto il momento di iniziare di nuovo a scrivere affrontando  un nuovo filone narrativo, fatto non più di brevi racconti, ma passando attraverso delle novelle, a dei veri e propri romanzi.
Nel giro di un anno, trincerato dietro un silenzio di china assoluta, riuscì a concludere un paio di lavori, il primo dei quali a suo giudizio gli parve abbastanza accettabile e che intitolò;
 “ 16 Ottobre 1943, Un bellissimo sogno di salvezza ”
Lo spunto di quel suo primo romanzo gli nacque una sera, durante la presentazione di un libro dal titolo“ L’ordine è già stato eseguito”, presso il centro culturale ebraico Pitigliani, posto sulla sponda opposta di lungotevere rispetto la Sinagoga, il tempio maggiore. 
Durante l’intervento dell’autore, un professore di lettere Angloamericane, e l’attenta disamina dei fatti che via, via spiegava, Giacomo rimase letteralmente folgorato dalle gesta e dalla ferocia nazifascista, consumata barbaramente in Italia durante la seconda guerra mondiale.
Alla riunione, tra la tanta gente accorsa, era presente anche un reduce di guerra, un anziano uomo dalla lunga barba bianca, con il capo coperto dalla kippà, il tradizionale copricapo ebraico,  composto in ogni suo gesto, un viso dai lineamenti gentili ma drammaticamente segnato dai bui ricordi della sua infanzia sgretolata nel fondo di un campo di concentramento nazista. 
Uno degli ultimi sopravvissuti a quella barbara deportazione, ancora vivente. 
All'epoca dei fatti era poco più che un ragazzino, dove purtroppo perse ogni traccia della sua famiglia. Attraverso interminabili pause emotive, scandite da spontanei applausi della platea, l’anziano si lasciò andare ad alcune testimonianze che fecero rabbrividire Giacomo, vicende da far  accapponare la pelle persino ad un morto.
Ambientò così la storia del romanzo, nello scenario della tragica vicenda avvenuta nel ghetto di Roma sul finire del “43” ai danni della comunità ebraica, protagonista  di una orribile deportazione di massa, tale da mettere in subbuglio la sua sensibilità.  
Protagonisti della storia, due ragazzini pressoché adolescenti, che ne alternavano gesta ed avvenimenti in chiave fantasiosa, densa di mistero con un finale del tutto inedito.
Ma una volta terminato il lavoro, fu assalito dall’incontenibile necessità di farlo leggere a qualcuno. Così dopo un’immemorabile periodo di letargo, era assetato di consensi, decise così di sottoporlo all’attenzione dell’unica persona di cui si fidasse ciecamente, Chiara la sua più cara amica, la più severa, ma anche la più sincera, Giacomo pensò che se fosse piaciuto a lei, poteva pensare di aver fatto un buon lavoro.
Così il giorno seguente fedele ai suoi propositi, Giacomo si diresse in centro nel negozio di tatuaggi della sua amica. Appena giunto, proprio in quel momento Chiara era intenta a discutere con una ragazza di colore che pretendeva il rimborso di un tatuaggio fatto mesi prima, accampando il banale pretesto di non piacerle più il lavoro svolto. 
L’alterco durò ben poco, difatti, Chiara una volta esaurita la pazienza, di colpo infuriata fece uscire dal negozio la furbetta minacciandola di non mettere più piede nel suo studio.
Una volta poi che ritornò la calma, Giacomo pacatamente le rivelò il motivo di quell’improvvisa visita chiedendole in via del tutto amicale se poteva leggere il suo manoscritto e alla fine dirgli cosa ne pensasse. Ma per sua sfortuna fece un buco nel’acqua, Chiara  al momento non poteva accontentarlo dato che da qualche tempo era completamente immersa in una trilogia dall’avvincente trama delittuosa che le stava togliendo il fiato e il sonno, si espresse proprio così;  “ Mi sta togliendo il fiato ed anche  il sonno”, confessandogli inoltre che non avrebbe letto null’altro fino alla all’ultima pagina di quella calamitante e suggestiva saga, neppure se a chiederglielo fosse stato suo fratello. Sconfortato, Giacomo prima dei saluti finali le lasciò copia del suo manoscritto, portando con se la sola promessa da parte di Chiara che non appena avesse avuto tempo, certamente l’avrebbe letto e riferito il suo parere.
“Un dono del cielo, non c’è altra soluzione”  pensò Giacomo sulla strada del ritorno verso casa, “Quali grandi abilità deve avere uno scrittore, e non soltanto per la dote di saper scrivere come Dio gli abbia concesso di saper fare, ma anche per la capacità di riuscire a sottrarre amicizie seppure a lui del tutto sconosciute. Che geni … che rabbia, che invidia.“
Non poteva non pensare alla faccia di Chiara, alla sua meraviglia mentre sedotta articolava parole di ammirazione per quell’autore di cui per altro non chiese neppure il nome, forse per invidia o forse per gelosia. 
Le apparve come una ragazzina conquistata dal primo amore adolescenziale, le brillavano gli occhi, pronunciò aggettivi nei riguardi di quel genio sconosciuto mai sentite prima, neanche per Fabio Volo, di cui a suo dire ne andava pazza.
“ … Completamente immersa, … un’avvincente trama, … le toglieva il fiato e il sonno … calamitante, suggestiva … e che non avrebbe letto altro sino alla fine … 
Per un istante gli balenò per la testa l'idea che, se quell'anonimo autore avesse voluto, con sole tre quattro paginette, stese a dovere, senza alcuna fatica si sarebbe potuto portare a letto qualsiasi donna, anche la più ostile.
Rammaricato decise così  di non pensarci più.
Quando oramai a distanza di un paio di mesi aveva relegato la cosa in uno dei cassettini più remoti della sua mente, una mattina inaspettatamente gli arrivò una telefonata da parte della sua amica tatuatrice.


<< Pronto Giacomo, ciao sono Chiara. Volevo parlarti, per caso puoi passare qui da me oggi pomeriggio? E’ molto importante... >>  


Oltre a questo fugace scambio di parole, Chiara non aggiunse altro, dal canto suo Giacomo senza dilungarsi, accettò e così nel primo pomeriggio era già davanti al suo negozio ad aspettarla.
A sua insaputa quel pomeriggio le sorti della vita di Giacomo si sarebbero ribaltate completamente.
Ciò che accadde fu qualcosa di miracoloso. 
Qualche giorno dopo aver lasciato il  manoscritto alla sua amica, chiamò a studio un tizio, un nuovo cliente intenzionato a fissare con lei un appuntamento per farsi fare un tatuaggio. La sorte volle che questo nuovo cliente dovette attendere il suo turno più del previsto dato che Chiara era impegnata a rianimare uno sbarbatello appena maggiorenne che aveva perso i sensi, circostanza che spesso avviene con i più giovani al battesimo del primo passaggio di china. 
Pertanto, per ingannare il tempo, il tizio, che si rivelò poi essere il direttore di una affermata casa editrice, per ingannare il tempo prese la prima cosa che gli capitò sotto mano e si mise a leggere. Si trattava proprio del manoscritto di Giacomo.
Ebbene, a sentire Chiara, il tizio sembrava come ipnotizzato da quel racconto al punto tale che non staccò mai gli occhi da quelle pagine neppure durante la battitura dell’ago nelle sue parti più delicate della pelle. 
Imperterrito come un mulo, proseguì la lettura sino al termine, quindi esclamò.


<< Eccezionale!!! Chi ha scritto questo racconto è un edificio di idee stupefacenti !!! Lo definirei uno scrivano distaccato dalle cose terrene. Per di più è scritto in modo semplice e spontaneo, a sua insaputa è ciò che accade ai talenti per natura, scadente grammaticalmente, ma con grandi virtù narrative. Devo assolutamente conoscere l’autore. >>


Fu così, che Giacomo nonostante le sue incredulità, iniziò e il suo cammino da vero scrittore.  
Il manoscritto dopo un attenta rivisitazione grammaticale da parte della casa editrice fu così presentato e pubblicato, ottenendo un successo fuori da ogni  concreta aspettativa.
Era nato così un nuovo scrittore. 



mercoledì 30 marzo 2011

Racconto " Domenica liberatoria" di Luca Pinna




Domenica liberatoria

Domenica mattina, ore undici e trenta. Il sole dalle tapparelle mi acceca e la testa  mi gira come fosse una giostra . Un uomo mi dorme accanto, ed io  accanto a lui completamente nuda. Non ricordo nulla, Il vino di ieri sera ha fatto il suo corso, e lui sicuramente poi tutto il resto. Fabrizio? o forse Maurizio, cazzo non mi ricordo nulla, ha ragione mia madre, sono un’incosciente, porto la gente a casa senza neanche sapere chi sia. Ecco ecco, ora ci sono, Maurizio, quel tipo che ieri mi è rimasto appiccicato per tutta la serata. Dio che imbarazzo, e adesso quando si sveglia cosa gli dico?  Magari con aria disinvolta potrei chiedergli. << Ciao, ti faccio un caffè? >> No no no , così  passerei per  una cretina, una abituata a certe situazioni. Cosa sarà successo stanotte? Ma che domande idiote mi pongo, la sera prima mi ubriaco, il giorno dopo mi risveglio a letto nuda accanto ad un uomo nudo, cosa sarà accaduto, di certo non avrò fatto le parole incrociate. La stanza sembra un campo di battaglia, i miei e i suoi vestiti sono sparsi dappertutto, lui dorme ancora profondamente, sembra un bambino. Quando si sveglierà sono certa che non crederà mai alla mia buona fede, e che certe cose non le faccio per abitudine, ma si, chi se ne frega, ora l’unica cosa che vorrei più di ogni altra, è che non ci fosse, ma come faccio, potrei svegliarlo e chiedergli di andarsene di fretta con la scusa che sta arrivando mia madre, troppo banale, la realtà è che sicuramente abbiamo fatto sesso, del resto a 34 anni ci sta, sono una donna libera ed indipendente, certe cose possono capitare. Oddio siamo alle solite, maledetti sensi di colpa, ma è mai possibile che debba sentirmi perennemente in difetto per tutto ciò che faccio? Dice bene quella pazza di Beatrice, “Ti fai troppe pippe mentali, lasciati andare, divertiti …” Giusto!! Ha ragione lei, debbo liberarmi una volta per tutte di questa zavorra mentale che  limita tutte le mie emozioni, andando avanti così diventerò una zitella acida. Vedo riflessa allo specchio di fronte al letto l’insolita immagine di me accanto ad un uomo nudo, lo stesso che con ogni probabilità una manciata di ore fa mi ha posseduta, perché dovrei rifiutarla? Respingerla significherebbe rigettare l’idea di sentirmi come tutti gli altri. Debbo smetterla di far decidere tutto alla mia parte conscia. L’idea che abbia ceduto ad un uomo solo attraverso un bicchiere di vino mi fa incazzare, dovrei essere fiera d’essere qui, nuda con un maschio accanto e tutto il resto, qualsiasi cosa sia accaduta. Si, ho deciso, appena si sveglia gli chiederò nella maniera più disinvolta possibile se vuole un caffè. Non c’è nulla di male, eppoi seppure lo pensasse, poco mi interessa. Certo che è davvero un bellissimo ragazzo, magari stanotte avrà dato il meglio di se, peccato che io non ricordi nulla. Ma la domenica è lunga, siamo appena a fine mattinata …. Fuori c’è il sole, io sono serena, lui è accanto a me, ma soprattutto, mia madre vive così talmente lontano da non avere nessuna necessità di venire a trovarmi di domenica mattina, una domenica  che ho deciso riserverò per colmare emozioni per troppo tempo represse.    
     

martedì 29 marzo 2011

Drinn... / Clik... di Luca Pinna


      Drinnn …

<< Ciao, sei sparita, ma che fine hai fatto? >>
<< Nessuna fine, anzi, ho appena iniziato. >>
<< Iniziato a fare cosa? >>
<< A vivere. >>
<< Avevi forse smesso di farlo? >>
<< Purtroppo accanto a te si. >>
<< Ma io non ti ho fatto nulla. >>
<< Appunto. Lo so, è strano, ma è così, avrei preferito scegliere un momento diverso per dirtelo, ma non ho trovato il coraggio di farlo.>>
<< E credi che fuggire ti faccia star meglio? Faccia star meglio me? >>
<< Mi spiace, ma non so dirtelo, certamente non mi farà più soffrire >>
<< Ma tu fai sempre così con le persone? Prendi e getti? >>
<< No, solo quando c’è di mezzo il mio cuore che rischia di finire in pezzi. E questo non me lo posso permettere.>>
<< Dimmi, ma quando pensi al tuo di cuore, ti viene mai in mente il cuore degli altri? >>
<< Smettila!! Non è giusto che tu mi dica questo, conosci bene la mia fragilità,  non sono forte quanto te, la mia è così leggera che precipita con un solo alito di vento. >>
<< E di tutte le cose che mi hai detto fino ad oggi cosa dovrei farne? Me lo sai dire? Dovrei forse buttarle in un secchio della spazzatura? >>
<< Dimenticale, come se non le avessi mai pronunciate. >>
<< Brava !! Sai calpestare i sentimenti e il cuore delle persone con una semplicità davvero impressionante. Mi fai paura. Ti lascio con un suggerimento, cresci … Vedrai, dopo saprai tenere stretti  i momenti magici che raramente capita di incontrare. >>

  Clik …


  

Racconto "Fido" di Luca Pinna



Fido





La prima volta che io e Fido ci incontrammo, sembrava come se qualcuno dall’alto avesse decretato che le nostre strade si dovessero congiungere. In qualche modo questo “qualcuno” aveva deciso che i nostri destini dovessero proseguire per il resto della nostra esistenza, uno accanto all’altro, fin quando poi uno dei due non avesse mollato.
Si trattò comunque di vero amore fin da principio. Il fatale incontro accadde una domenica notte quando, annoiato, stavo rientrando in macchina dopo aver trascorso un monotono week end in Toscana a casa di mia sorella. Fuori pioveva nonostante fossimo oramai a Giugno inoltrato, si trattava di uno di quei tipici acquazzoni che precedono l’avvento dell’estate, dove l’afa e la pioggia scendono giù con violenza e ad intermittenza senza nessun preavviso. Faceva caldo, guidavo a rilento su una stradina battuta, stretta e sconnessa, una specie di mulattiera, che dalla strada principale conduceva ne vari casolari e vigneti di campagna antistanti.
Ma superato l’ennesimo dosso, di colpo dovetti inchiodare la macchina alla vista di una palla bianca con un puntino nero al centro, immobile in mezzo alla carreggiata. Non mi ero sbagliato, così avvicinando la testa al parabrezza, potei vedere meglio che quella che credevo qualcosa di molto simile ad una busta o giù di li, non era altri che un piccolo cucciolo di maremmano seduto sulle zampette posteriori, sotto un diluvio torrenziale. Tremava come una foglia al vento d’autunno, così per istinto alzai gli abbaglianti, ma non appena il piccolo fu colpito dal bagliore dei fari, per istinto abbasso il muso e alzò una zampina a coprirsi gli occhi. Scesi di corsa dalla macchina, mi accostai a lui, che intanto senza alcun timore non si mosse neppure di un millimetro, mi guardava fisso con gli occhi socchiusi infastiditi dalla pioggia, non appena mi accovacciai ad un passo da lui, venne di corsa ad ripararsi tra le mie gambe. Si era fidato di me. A quel punto non potevo far altro che raccoglierlo e  condurlo con me in macchina.  
Non appena lo adagiai sul sedile accanto alla posto di guida, si raggomitolò su se stesso come una biscia dandomi l’impressione che volesse dormire stremato dalla fatica. Come poi di fatto fece nel giro di pochi minuti. Durante tutto il tragitto fino a casa non si mosse minimamente, di tanto in tanto buttavo l’occhio per controllarlo, ma lui continuò a dormire imperturbato.
Tutto questo capitò in un momento della mia vita alquanto incolore, emozioni zero, quindi, ero pronto a qualsiasi novità, a patto che portasse con se una ventata di novità. Ma a tutto  potevo pensare, tranne che adottare un cane. Ne' ci avevo mai pensato prima, tantomeno avevo voglia di costringere la vita ad un impegno come quello. A giudicare dalle ammissioni dei miei amici che già possedevano un animale, mettersi una bestiola in casa sembrava essere una responsabilità pari a quella nei riguardi di un figlio, stessi obblighi, eguali sacrifici. In breve poi avrebbe modificato ogni assetto della mia vita, vacanze, week end, capodanni all’estero, relazioni sentimentali, senza pensare poi alla spesa che avrei dovuto sostenere allevando un’animale. Tutte cose lontanissime dai miei pensieri.       
Ovviamente, ne il giorno seguente, come neppure nelle settimane successive, riuscii a liberarmi di lui, ero bloccato dal rimorso che se l’avessi fatto, in quella prima fase il cucciolo non avrebbe potuto farcela senza di me. Soltanto dopo capii il vero motivo del mio comportamento. Inevitabilmente con mia grande sorpresa iniziammo così a conoscerci e a diventare persino amici, una di quelle amicizie autentiche, saldate da reciproco rispetto. Iniziai a chiamarlo con il primo nome che mi passò per la testa, Fido, forse il più banale e scontato da attribuire ad un cane, ma soltanto in seguito mi venne in mente che quel nomignolo aveva a che fare con il sentimento che ci legò fin da principio, la fiducia reciproca di uno nei riguardi dell’altro. Come per istinto entrambi conoscevamo il ruolo che il destino ci aveva assegnato. Giorno dopo giorno Fido dimostrava sempre più affezione nei miei riguardi e una sconfinata fiducia attraverso mille suoi modi di fare. Si era votato a me in maniera incondizionata qualsiasi cosa io facessi, per lui era sempre quella giusta, e  l’avrebbe seguita ad ogni costo.
Fu così che iniziò la lunga storia tra me e quella dolcissima bestiola. Senza alcuna fatica ne sacrificio, proseguimmo a convivere e rispettarci a vicenda. A causa sua le vacanze non mi furono mai di peso, come pure i fine settimana, Fido godeva di un carattere dallo spiccato senso indipendente, forse anche grazie al tipo di razza a cui apparteneva, i maremmani si sa, sono cani liberi e libertari per natura propria, una razza orgogliosa e umile al tempo stesso, era capace di rimanere solo anche per due giorni di fila senza mai farmelo pesare. Quando mi capitava di assentarmi gli lasciavo la tapparella della cucina leggermente alzata, quanto bastava per permettergli di gironzolare libero in giardino e fare i suoi bisogni. Poi ad ogni mio rientro, scodinzolando felice mi faceva quel po’ di feste, ma senza mai troppi eccessi, sapeva contenersi. Aveva dignità da vendere, in tanti anni ad esempio, non si sognò mai di correre a prendere un sasso o un bastoncino lanciato lontano. A differenza di molti altri cagnolini che non facevano altro per un pomeriggio intero sotto il suo sguardo indifferente.  
Da quella domenica sera piovigginosa dove io e Fido fatalmente ci incontrammo per la prima volta, trascorsero molti anni, e così inesorabile venne anche quel maledetto giorno di cui non avrei mai voluto sentir parlare ne che giungesse. Già da qualche mese Fido aveva perduto quasi del tutto l’uso della vista, le sue zampe posteriori l’avevano pian piano abbandonato costringendolo a trascinarsi. Nell’ultima visita, il veterinario a malincuore  mi fece capire che se volevo davvero bene a quella bestiola, l’unica cosa da fare era sopprimerlo, tanto più che non avrebbe vissuto più che un’altra manciata di settimane.   
Me ne ritornai a casa con Fido in braccio proprio nello steso modo in cui  ce lo condussi la prima volta. Il giorno seguente decisi che ci saremmo lasciati per amore di entrambi, forse la scelta più amara della mia vita. Avrei dovuto fare a meno di quell’amicizia così forte e inossidabile, unica soltanto tra un uomo ed una bestia. Mi sarei dovuto privare di quegli sguardi sinceri senza doppiezza, quelle solennità ad ogni mio rientro che gli sgorgavano dal cuore. Trascorremmo così una notte quasi del tutto insonne uno accanto all’altro, posai una coperta a terra accanto alla sua cuccia in modo che potesse sentirmi il più vicino possibile a lui.  Gli strinsi una zampa tra le mani, e così provammo ad addormentarci.
Il mattino seguente durante tutto il tragitto che portava da casa fino al veterinario, piansi tutte mie le lacrime. Così una volta giunti, il dottore con scrupoloso tatto mi chiese se volevo rimanere accanto a Fido oppure andarmene subito dopo aver firmato qualche carta. Aggiungendo che il tutto sarebbe durato solo pochi minuti, l’avrebbe prima sedato, quindi una volta addormentato l’avrebbe soppresso. E comunque Fido non si sarebbe accorto di nulla, questo fu ciò che tentò di garantirmi. Ma non si privò di aggiungere che se gli fossi rimasto vicino sino all’ultimo, di certo il suo trapasso sarebbe avvenuto in modo molto meno traumatico.
Quelle parole sollevarono e rinnovarono in me quel senso di estrema gratitudine nei confronti del mio cagnolino a cui  non potevo di certo mancare.
Fido non smetteva di guardarmi, ed io vigliaccamente cercavo di non incrociare il suo sguardo, convincendomi ostinatamente che stavo facendo la cosa più giusta per lui. Far cessare le sue sofferenze, mantenendo così intatta la sua dignità.
Socchiuse gli occhi dolcemente, mentre reggevo la sua zampa. Dopo pochi minuti il medico mi disse.
<< E’ andata, ora se vuole può uscire, non serve che  assista a tutto il resto. >>
Ma un istante prima di andarmene mi richiamò e aggiunse.
<< E’ stato un cane fortunato, ha avuto un’esistenza felice, lo si vedeva, complimenti, dovrebbero prendere tutti esempio da lei.>>
Feci un gesto del capo come per ringraziarlo ed uscii. Avverti una solitudine straziante.
Un istante prima di sparire definitivamente da quel luogo, passando per la sala d’attesa, una signora che evidentemente intuii cosa fosse successo, mi venne incontro e mi disse.
<< Mi spiace, so bene cosa sta provando in questo momento, posso darle un consiglio? Rimpiazzi subito quel vuoto, sarà un po’ come far resuscitare il suo cagnolino, io ho fatto lo stesso, se vuole potrei aiutarla, lavoro al canile Municipale, tenga questo è il mio numero, ci sono tanti cuccioli che non aspettano altro che qualcuno li porti via da  quelle gabbie. Mi chiami quando vuole, si faccia un regalo ancora una volta …>>
Abbozzai un sorriso mi voltai ed uscii. Fatte poche decine di metri di colpo mi fermai, misi le mani in tasca, e tirai fuori le uniche due cose che trovai, il guinzaglio di Fido oramai senza più nessuno a cui poterlo mettere, ed un numero di telefono …
Tornai così di corsa indietro per cercare dare un senso a quelle due cose che fatalmente mi ritrovai tra le mani ….



  
   
     

mercoledì 23 marzo 2011

Racconto " Nel segno di Caino" di Luca Pinna




La primavera ormai era alle porte, già da qualche giorno il clima sembrava essersi fatto più dolce, i colori tipici della stagione più attesa iniziavano a farsi notare. Già dal mattino presto nell’aria si avvertiva quel tipico profumo primaverile che invita chiunque ad uscire in strada, o a  lunghe passeggiate nei parchi completamente ammantati di quel verde acceso dalle mille sfumature pastello.
L’avvento della nuova stagione, in unione al tiepido sole, mi portò una ventata di buon umore, assieme all’irrefrenabile voglia di china. 
Difatti, durante tutto l’inverno passato, ero stato sul punto di farmi fare un nuovo tatuaggio, poi come spesso capita, per un motivo o per l’altro non lo feci. Marcare in modo perenne la propria pelle non è esattamente un giochino da ragazzi, tutti sanno che bisogna esserne convinti fino in fondo, del resto, una volta fissato sulla pelle ciò che più ci ispira, è per tutta la vita, una sorta di marchio perenne per cui ogni volta che ci va lo sguardo non bisogna poi pentirsene, ma al contrario esserne felici una volta di più.
Anni addietro passeggiando per le vie del centro, dalle parti di san Pietro, mi imbattei nella piccola bottega di un tatuatore, dove sulla vetrina si leggeva una frase che colpì la mia curiosità, “ Il segno di Caino” in riferimento appunto ad un verso della Bibbia che citava più o meno così:
Il SIGNORE mise un segno su Caino, perché nessuno, trovandolo, lo uccidesse." (Genesi 4:15).
Pertanto incuriosito entrai con la stesso trasporto di quando visito una libreria. Il proprietario in quel momento era impegnato in una conversazione al telefono, così aspettando che terminasse, iniziai a guardarmi attorno. Le pareti erano tappezzate dei suoi lavori, senza dubbio si trattava di un artista, un vero decoratore della pelle. Mi venne subito il gran desiderio di farmene uno, e glielo dissi, ma non avendo a più pallida idea su cosa “battermi” raccolsi il suo spontaneo e onesto suggerimento.
<< Non ci si tatua così tanto per tatuarsi, non è certo come comprare un chilo di pane o un litro di latte, il pane e il latte poi finiscono, bensì con un disegno sulla pelle ci dovrai convivere e andare d’accordo per tutta la vita …>>
Aveva ragione lui, sarebbe stata una sciocchezza imperdonabile, così lo ringraziai ed usci, rimanendo in me un caro ricordo di quell’onesto artista dei disegni sulla pelle.
Così tornando alla dolce primavera dei giorni nostri, il primo giorno utile che mi capitò, pensai di ritornare in quella bottega dal nome così bizzarro, ma al contrario di tanti anni prima, stavolta convinto su cosa fare. Ma al suo posto, anziché lui, ci trovai i suoi figli. Il loro papà mi dissero che nel frattempo era partito per un lungo viaggio intorno al mondo a tatuare gli angeli. Ma oramai ero deciso e convinto a farmi tatuare, così ne parlai con la ragazza che da li a poco avrebbe immortalato sulla pelle il disegno che avevo in testa da tempo. In modo molto risoluto e capace, non indugiò in nulla, dava davvero l’aria di sapere perfettamente cosa stesse facendo. Mi mise subito a mio agio, così subito dopo aver disegnato il mio “Sacro Cuore” pieno di colori, mi fece accomodare nel retro del suo studio. Solo allora mi venne in mente che quella era la prima volta che mi facevo tatuare da una ragazza, così stupidamente pensai al fatto che essendo una donna, avrei forse avvertito meno dolore, soltanto dopo dovetti ricredermi, considerando che a conti fatti un ago è comunque sempre un ago, anche se sorretto da una bella ragazza dagli occhi verde smeraldo e dal sorriso solare.
Il tutto si compì nel giro di soli venti minuti. Strinsi i denti per un po’, e tutto terminò prima di quello che credessi, tutto sommato il dolore non fu neanche così irresistibile, eppoi, come si dice, “dove non c'è dolore, non c’è neppure gioia …”



Racconto " La donna allo specchio" di Luca Pinna



Così dopo sette lunghi anni di spinosa convivenza con Elisa, sarei tornato nuovamente a far parte della sempre più nutrita categoria dei single. Pensare che all’inizio della nostra storia, che per altro credevo e speravo fosse un definitivo punto fermo nella mia vita, non avrei mai e poi mai immaginato di ritrovarmi nuovamente da solo ad un passo dai cinquant’anni. 
Di certo tutto questo non era nei miei propositi, tanto meno nelle mie intenzioni. Ma è pur vero che nella vita una sola cosa è certa, ed io evidentemente questo proverbiale saggio popolare non l’avevo considerato affatto. Avrei dovuto così riorganizzare tutta quanta la mia esistenza, con l’unica differenza di qualche anno in più sulle spalle, oltre a un senso di colpa di troppo sulla coscienza.
Sino a che poi non accadde l’irreparabile, la mia convivenza con Elisa ebbe un corso che potrei definire persino spumeggiante e ricco di ambiziosi progetti, nonché stimolante dal punto di vista sessuale. Difatti quando ci conoscemmo, entrambi reduci da due divorzi, praticamente non facevamo altro, ovunque, una volta ci capitò persino di farlo nel bagno di casa di alcuni nostri amici. Forse troppo, e forse solo quello. In seguito come naturalmente poi capita, la curva dell’interesse scese, assieme a tutto quanto il resto, sesso compreso.


A differenza del mio primo matrimonio, dove complice la mia giovane età ne combinai una dietro l’altra, ponendo così fine a quel rapporto, con Elisa non fu lo stesso. Fin dal primo giorno in cui la conobbi il mondo femminile per me si concentrò unicamente su di lei. Involontariamente Elisa agì su di me come un incantesimo, mi sentivo come pervaso da una magia. Attribuivo quel mio mite atteggiamento all’età, pensavo che oramai superate le quaranta primavere tutto si acquietasse, anche quel tipo di cose. L’avanzata maturità potesse porre dei limiti, d’altro canto ero soddisfatto ed appagato, non avvertivo un’esigenza superiore a ciò di cui nella sostanza già godessi, oramai sembrava davvero che tutto procedesse in maniera fluida, e senza intoppi, fin quando …
Esatto, perché un quando accadde.  E quel quando, si chiamava Eva.
Entrambi lavoravamo tutto il giorno senza che nessuno dei due potesse tornare a casa prima di sera, e questo ovviamente comportava notevoli disagi su ciò che riguardava il riordino e la pulizia della casa, far la spesa, lo stiro, le lavatrici e quant’altro, tutte faccende che venivano procrastinate ai danni del nostro fine settimana, per altro gli unici due giorni di libertà concessi, impedendoci così di divagarci ne riuscire mai ad organizzare qualche week end fuori Roma, da soli o con amici. E dato che Elisa impazziva se non era tutto in ordine fin nei minimi dettagli, arrivammo così alla sana conclusione di assumere una domestica. Per mio conto pensai fosse la scelta ideale, per altro un toccasana al nostro rapporto che già da qualche periodo attraversava momenti di duro attrito. Iniziammo così un passa parola tra i vari amici, oltre a qualche annuncio su Porta Portese. 
La cosa ebbe fin dalla prima settimana un esito favorevolmente inaspettato, fummo contattati in soli tre giorni da più di dieci persone, tutte molto disponibili ed interessate. Filtrate le meno adatte per motivi lontananza, il sabato successivo fissammo quattro incontri, tutti dislocati in diversi  orari uno dall’altro.


La prima che si presentò era una giovanissima ragazza filippina, ma dall’aspetto così talmente acerbo che pensammo non fosse neppure maggiorenne, una figura macilenta e magrolina a tal punto che con Elisa pensammo fosse addirittura malata o qualcosa di simile. La prima cosa che ci saltò in mente fu che non avrebbe mai potuto reggere la mole di lavoro che intendevamo consegnarle. Così garbatamente la pregammo di attendere un contatto dopo qualche giorno di nostra riflessione.


Il secondo appuntamento in lista fu quasi una sorpresa. Si presentò con un leggero ritardo una ragazza di circa trent’anni, ma portati con fatica, certamente dal marcato intercalare e dai tratti somatici era evidente avesse origini dell’est, sul viso erano chiari i segni della sofferenza tipici da dipendenza d’alcol o altro, da medico la cosa non mi fu difficile intuirla immediatamente, osservare alcuni dettagli non lasciava dubbio al fatto che fosse una persona con grandi difficoltà. Lo sguardo a tratti vitreo, discorreva a rilento, le mani livide e gonfie, unghie e capelli mal curati. Quando poi dialogando ci disse che non avrebbe potuto lavorare il sabato, per noi fu una specie di sollievo, un’ancora di salvataggio su cui ci attaccammo per declinare l’impegno. 


La terza ragazza che si presentò come Eva, sembrava andare decisamente meglio delle due precedenti, intanto dava l’impressione di essere una persona pulita ed ordinata,  e dagli atteggiamenti ben educati, per altro anche molto carina. Parlava un italiano quasi perfetto tanto da farmi pensare che lo fosse, ma in realtà era di origini albanesi, aveva trentadue anni, ed era arrivata in Italia con  suoi genitori a soli cinque anni. Elisa iniziò così a spiegarle quelle che erano le nostre esigenze, chiedendole cosa avrebbe preteso come salario, fu soltanto allora, pensando di aver trovato la persona giusta alle nostre necessità, che ci caddero le braccia in terra, quando la ragazza con un sorriso radioso ci chiese quale fosse la stanza dove avrebbe dovuto dormire in seguito.
Ovviamente il mal’inteso fece cadere in un nulla di fatto tutto quanto stabilito in precedenza. Non cercavamo una donna fissa in casa, non ce la saremmo potuta neppure permettere. Così Elisa dovette informarla che per quanto ci dispiacesse, seppure disponevamo di una stanzetta con servizio attiguo, non potevamo accontentarla dicendole la verità sul fatto che non potevamo farci carico di una spesa così eccessiva come quella di una domestica in pianta stabile. Mentre Elisa con fatica cercava di uscire da quella che era diventata una situazione imbarazzante, Eva sembrava accorta a riflettere, fin quando la interruppe dicendole.
<< Se il problema è soltanto di carattere economico, sono disposta a venirvi incontro accettando lo stesso salario di una donna ad ore pur lavorando tutto il giorno, questo a patto che mi prendiate con voi. Vi garantisco che non ve ne pentirete, sono perfettamente in grado di governare una casa da cima a fondo, faccio questo lavoro da oltre dieci anni, e con tutte le garanzie possibili, inoltre potrei fornirvi persino i contatti dei i miei vecchi datori di lavoro purtroppo trasferitisi all’estero. >>
Io ed Elisa ci guardammo in faccia del tutto spiazzati da quelle parole, i termini che Eva ci stava proponendo ci fecero tornare sui nostri passi, quindi le chiedemmo gentilmente di aspettarci qualche minuto in salone, mentre noi ci saremmo consultati meglio in cucina.


Dissi pertanto ad Elisa che a parer mio, attenendoci agli accordi da lei proposti, la cosa si sarebbe potuta anche fare, chiaramente non prima di aver stabilito regole ben precise sulle modalità logistiche della convivenza, oltre a qualche controllo che avrei fatto fare personalmente presso un mio caro amico carabiniere. Elisa dal canto suo non le sembrava vero, avrebbe così ottenuto ciò che più le interessava, una casa perennemente pulita ed ordinata ad un costo identico a quello di tanti altri nostri amici. Considerando poi che la stanza in oggetto, per pura fatalità, rimaneva esattamente nella parte opposta della casa rispetto il salone e le altre camere da letto tra cui la nostra, vedemmo questo particolare come un segno positivo tanto da decidere per un si.
Da quella mattina passò un mese esatto. Nei giorni immediatamente successivi al primo incontro avuto con Eva, presi informazioni su di lei, con il risultato che scoprimmo essere una persona dalla fedina penale cristallina, Elisa inoltre volle contattare i suoi vecchi datori di lavoro, che ci rasserenarono ampiamente sul suo conto, garantendoci l’affidabilità della persona, tra l’altro si dissero molto rammaricati di non averla più tra loro. Era tutto vero, come difatti nel tempo Eva dimostrò di essere.
Le giornate della nostra nuova coinquilina scorrevano cadenzate dalle sue solite abitudini. Di mattina si alzava prestissimo, apparecchiava la tavola per la prima colazione, poi una volta che io ed Elisa uscivamo per raggiungere i nostri rispettivi luoghi di lavoro, iniziava ad affaccendarsi nel rassettare quel po’ di disordine in casa, quindi verso mezzogiorno scendeva e si recava al mercato per comprare ciò che Elisa le lasciava scritto su di un biglietto la sera prima. Verso il tardo pomeriggio poi chiamava per sapere cosa organizzare per cena ed iniziare ad impostarla. Quindi una volta rientrati, serviva la cena, dava la buonanotte ad entrambi per poi  spariva nella sua cameretta da letto.
Un sogno!!! 
Dopo qualche tempo, dove per altro Eva mantenne un comportamento a dir poco ineccepibile, una mattina dovetti rientrare improvvisamente a casa a sua insaputa, per prendere alcuni documenti della casa richiesti dal mio commercialista. Evidentemente non mi sentì rientrare, ed io nella fretta non pensai di suonare il campanello come preavviso. Una volta in casa notai alcuni stracci per lo spolvero poggiati sulla consolle dell’ingresso, il secchio con gli stracci e lo scopettone nel salone, e i tappeti ben arrotolati in un angolo del disimpegno. Stava certamente lavorando. La chiamai ma non rispose, pensai allora che stesse in terrazzo o persino fuori casa per la spesa. Quindi mi diressi spedito verso il mio studio in fondo al corridoio. Ma proprio mentre passai davanti alla mia camera da letto, non volli credere ai miei occhi.
Eva era proprio li nella nostra camera matrimoniale con lo stereo acceso sulle note di “ Can’t get enough of your love Babe” di Barry Withe, se ne stava davanti al grande specchio dell’armadio con indosso un vestito di Elisa che le avevo regalato tempo addietro, ma che sino ad allora non aveva mai indossato. Inconsapevole di esser vista, sorridente volteggiava su se stessa con la grazia di una ballerina di danza classica di fronte alla sua immagine abbigliata da quel vestito da sera. Avvertii un senso di tenerezza infinito, per un attimo chissà per quale strano motivo mi venne in mente la fiaba di Cenerentola, che per tutto il giorno vestita di soli stracci non faceva altro che rassettare e governare ciò che le sorellastre di volta in volta sporcavano, così, per una volta in loro assenza, dava sfogo a tutta la sua femminilità.
Ero tentato di fare dietro front ed uscire senza farmi vedere, ma non potevo, stava infrangendo una regola, quale padrone di casa dovevo intervenire per forza, ma come? Pensai che Intervenendo avevo due sole possibilità, o mandarla via subito, o in alternativa richiamarla all’ordine, facendomi promettere che certe cose non le avrebbe mai più fatte, ma con il sospetto che trasgredendo una volta, l’accaduto potesse ripetersi. E comunque in tutti e due i casi, di certo Elisa non potevo lasciarla fuori, avrei dovuto dirle tutto, ma conoscendola sapevo fin troppo bene quali provvedimenti avrebbe preso nei suoi riguardi. I più drastici. Dovevo trovare una soluzione che  garantisse ad entrambi di non dare luogo a nessuna delle due possibilità a cui ero costretto. Così rimasi fermo sul corridoio ad osservarla ancora un po’. Dovevo farle capire in qualche modo che sapevo, ma in modo da non creare un precedente, doveva arrivarci da sola, magari nei giorni a venire con una scusa le avrei fatto una battuta che potesse farle venire il dubbio che sapessi della sua mancanza, ma al tempo stesso non sapessi.
Eva rimase ancora qualche istante davanti allo specchio, poi in un attimo sganciò un bottone dietro il collo e l’abito di colpo si sfilò cadendole ai piedi con la stessa rapidità di un fazzoletto di seta, rimanendo così soltanto con gli slip, fu in quel momento che per la prima volta da che era in casa, la guardai non come “la domestica” bensì come una femmina, la cosa mi scosse, non mi era mai capitato prima da che stavo con Elisa. Era di una bellezza imbarazzante. Tornai subito indietro senza farmi sentire, aprii la porta di casa richiudendomela alle spalle, così uscii. Feci passare qualche minuto e suonai il campanello. Dopo qualche istante d’attesa sentii Eva chiedere chi era. A quel punto mi presentai ed aprii la porta con le chiavi.
<< Buongiorno dottore, come mai a quest’ora?>> Chiese visibilmente imbarazzata.
<< Buongiorno Eva, sono passato per prendere delle carte nel mio studio, tutto bene? >>
Nel frattempo si era rivestita dei suoi soliti vestiti di tutti i giorni. Ripassando davanti alla mia camera da letto, mi accorsi che la porta nel frattempo era stata chiusa. Evidentemente non aveva fatto in tempo a rimettere al suo posto ciò che non avrebbe dovuto neppure guardare.
<< Le preparo un caffè dottore? >>
<< Volentieri Eva, grazie >>
Pensai che accettare mi potesse dar modo di risolvere subito quell’antipatico e scomodo fuori programma, temevo che rimandare la cosa non avrebbe avuto più lo stesso risultato. Raccolte le carte di cui avevo bisogno, mi accomodai in cucina con Eva che intanto mesceva il caffè, ma non in una, bensì in due tazzine. Così capii che aveva deciso da sola che avremmo preso insieme quel caffè senza chiedermi nulla. Non ci vidi niente di male, ciononostante la cosa non la ignorai. Quindi porgendomi la tazza, aprì una sedia dal tavolino e si sedette proprio di fronte a me. A quel suo gesto mi assalì uno stato di agitazione, ma non tanto per le arbitrarie licenze che si stava prendendo, quanto per il modo e la risolutezza con cui si muoveva e mi guardava. Con un filo di ironia allora le dissi.
<< Per caso ti sei chiesta se volevo prendere un caffè con te? >>
 Per tutta risposta usando i miei stesi toni sarcastici Eva rispose.
<< E’ vero … ma che stupida!! Non gliel’ho chiesto, ho fatto tutto così in modo naturale.. >>
Quindi dopo un attimo di silenzio con aria del tutto maliziosa, aggiunse.
<< Del resto dottore, pochi minuti fa neanche lei si è chiesto se poteva guardarmi nuda davanti allo specchio, giusto? >>
A quell’allusione provocatoria mi inalberai, poggiai la tazza mezza piena sul piattino e cambiando espressione le dissi.
<< Eva, come ti permetti!!! Anzi, dato che hai sollevato tu l’argomento, vorrei sapere come ti è venuto in mente di aprire l’armadio della signora e provarti i suoi vestiti? Lo sai che per questo potrei mandarti via su due piedi?>>
A quelle mie parole Eva sgranò prima gli occhi incredula, poi dopo qualche altro istante di perplessità portò una mano sulla bocca e scoppiò in una risata.
<< Non credo ci sia nulla da ridere Eva, sono molto arrabbiato per questo, hai tradito la fiducia che avevamo riposto in te. Stasera ne parlerò con la signora Elisa, per poi decidere cosa fare, ma non ti aspettare nessuna comprensione. >>
Le mie parole sembrava che non l’avessero turbata affatto, al contrario non smetteva di ridere lasciandomi nel più profondo imbarazzo, fin quando non smise e disse.
<< Mi dispiace dottore se ha creduto che io potessi fare una cosa simile, in effetti l’abito con cui mi ha vista poco fa, non è più della signora Elisa da quando pochi giorni fa, mi ha chiesto se mi faceva piacere averlo, tutto qui, si è trattato semplicemente di un regalo, e stamattina me lo stavo provando per la prima volta in camera sua, dato che nella mia cameretta non c’è uno specchio così grande.>>
Trasecolai, non mi era minimamente passata per la mente una simile ipotesi, quindi sprofondato nel più cupo imbarazzo tentai uno sterile recupero.
<< Sono senza parole Eva, scusami, mettendomi nei miei panni capirai bene che il tutto poteva far pensare a male. >>
<< La capisco, non si preoccupi certe cose possono capitare >>
Poi aggrottando le sopracciglia con aria dubbiosa aggiunse.
<< Piuttosto mi dica, come la mettiamo con la signora Elisa? Dovrà venire a conoscenza di tutto ciò che è accaduto stamattina, o forse è meglio tenerla fuori da ogni cosa? >>
Quindi senza darmi neppure il tempo di replicare, si alzò dalla sedia rimettendo a posto i resti del piccolo break e continuò.
<< Certo che se deciderà di informarla, dovrà sapere tutto nei minimi particolari, anche  ciò che pur non volendo ha assistito, sono certa che per la signora sarà un dolore, ricordo ancora  quando appunto mi ha regalato quell’abito, di avermi  pregata di non dirle nulla per evitare che lei si potesse offendere. Tutto questo crede che possiamo farlo diventare un nostro piccolo segreto dottore? >>
Mentre sciorinava quel suo machiavellico piano, non riuscivo a togliere da davanti agli occhi la sua immagine completamente nuda davanti a quello specchio. Qualcosa era accaduto. Così decisi per la cosa peggiore che potessi pensare, ossia darle ragione e ovviamente come si potrà intuire, finendoci a letto dopo neppure una settimana … Tutto il resto, sarebbe inutile che lo scriva …